Era affetta da leucodistrofia metacromatica, una rara malattia neurodegenerativa, Sofia De Barros, 7 anni, simbolo del metodo stamina ideato da Davide Vannoni.

A dare l’annuncio della sua scomparsa, avvenuta nella sera di sabato 30, i genitori della piccola, Caterina Ceccuti, scrittrice e giornalista, e Guido De Barros, fondatori della Onlus ‘Voa Voa, amici di Sofia’ a sostegno delle famiglie colpite da patologie che, come nel caso di Sofia, non presentano ancora una cura.

«Ieri sera la nostra piccola straordinaria bambolina Sofia è volata in cielo direttamente dalle braccia di mamma e babbo.

Ora per lei non esiste più dolore, c'è solo l'amore» si legge nel post pubblicato dalla madre sul suo profilo Facebook.

Sei anni di lotta contro la malattia

La Leucodistrofia Metacromatica è una malattia caratterizzata dall’accumulo di sostanze tossiche nelle cellule nervose, che si presenta particolarmente aggressiva in soggetti molto giovani; nel caso della piccola, nata apparentemente senza alcun problema di salute, si è manifestata ad un anno e mezzo di vita prima con difficoltà motorie e, in brevissimo tempo, con il sopraggiungere della cecità.

Il metodo Stamina

Sofia era stata sottoposta a delle infusioni di cellule staminali mesenchimali, prelevate dal midollo osseo della bambina e, successivamente alla manipolazione in vitro, iniettatele nuovamente, così come previsto dal metodo ideato da Vannoni, prima che questo ricevesse il parere negativo da parte di due commissioni che non ne hanno affermato la validità, sebbene i genitori dei bambini sottoposti a terapia e il direttore sanitario degli spedali Civili di Brescia ne avessero affermato i presunti benefici.

Le controversie

La battaglia di Caterina e Guido era stata fortemente supportata tra il 2013 ed il 2014 attraverso il programma televisivo di Italia 1, Le Iene, che con dei servizi mostrava presunti miglioramenti della bambina a seguito della terapia, sollevando un grande polverone mediatico che ha visto il dito puntato sia contro Vannoni, accusato di truffa non essendo un medico e per non aver prodotto prove scientifiche concrete, e la trasmissione stessa per aver diffuso notizie considerate come dannose per la salute.

L'applicazione del metodo ha portato, nel processo allestito a carico dei medici del Civile e conclusosi a Torino nel maggio 2017, a quattro condanne a due anni.