È trascorso solo qualche mese dal referendum per l’indipendenza della catalogna e dopo la consultazione elettorale svolta il 21 Dicembre nella comunità autonoma, la situazione in Spagna è al punto di partenza. Dalle urne è emersa la rivincita della regione catalana nei confronti del Governo centrale di Madrid: i partiti indipendentisti hanno conquistato 70 seggi sui 135 disponibili nel Parlamento di Barcellona, con l'affluenza record del 81,94 per cento, conducendo nuovamente al potere gli stessi partiti che hanno prima indetto il Referendum per l’indipendenza e in seguito, visto l’esito referendario, proclamato la Repubblica Catalana.

Alla luce del risultato delle urne del 21 Dicembre, i partiti indipendentisti si sono detti pronti a formare un nuovo governo, ma i guai giudiziari per gli esponenti dell’autonomia non sembrano svanire, al meno nel breve periodo. Il principale candidato alla presidenza della Catalogna è Carles Puigdemont, il quale, è ancora in esilio a Bruxelles con quattro suoi ministri e si dice disposto a tornare in Spagna per incontrare Rajoy, solo se Madrid riconoscerà il risultato delle elezioni. Rajoy per tutta risposta si dice pronto al dialogo e ad intraprendere un percorso costruttivo con i delegati del nuovo governo, chiudendo però le porte a Puigdemont e ai rappresentanti che mesi fa proclamarono la Repubblica, cioè, gli stessi candidati usciti vincitori da questa tornata elettorale: un vero stallo istituzionale.

Ma come si è arrivati a questo muro contro muro, in cui Rajoy sostiene di difendere la democrazia della Spagna e Puigdemont sostiene di esprimere la libertà democratica tramite il voto?

Il referendum e le violenze

Tutto ha inizio il primo Ottobre quando si svolge la consultazione referendaria per l’indipendenza della Catalogna.

Il referendum, indetto dal Presidente Puigdemont e dal Governo catalano, è ritenuto illegale dal Governo centrale di Madrid presieduto da Rajoy. Dalle prime luci dell’alba migliaia di Catalani si schierano a difesa dei seggi per impedire alla Guardia Civil e alla Policia Nacional inviati da Madrid, di sigillare le urne sequestrando le schede ed impedire il voto.

Durante le operazioni di voto la polizia nazionale riesce ad entrare in diversi seggi, usando una violenza spropositata rispetto alla situazione e sgomberando le urne con la forza. Da lì a pochi giorni la situazione precipita: prima i cittadini catalani manifestano in migliaia per denunciare l’uso eccessivo della forza da parte della polizia inviata da Madrid, poi il Governo centrale decide di applicare per la prima volta nella storia dopo la dittatura franchista l’articolo 155 della Costituzione, che prevede la possibilità da parte dello Stato, di far rispettare la legge ad una comunità autonoma. Pochi giorni dopo questa decisione Puigdemont dichiara l’indipendenza della Catalogna dalla Spagna, costituendo di fatto la Repubblica di Barcellona, mentre Rajoy scioglie la camere, destituisce Puigdemont e convoca le nuove elezioni per il 21 Dicembre.

A seguito della decisione di Rajoy, la procura spagnola emette un mandato d’arresto nei confronti dei politici indipendentisti per sedizione e ribellione: alcuni vengono arrestati, rischiando fino a 30 anni di carcere, mentre Puigdemont, insieme a 4 Ministri del governo catalano, si rifugia in Belgio. Il resto è storia di questi giorni, con l’affluenza record alle urne e la legittimazione dei partiti indipendentisti; adesso bisognerà aspettare i prossimi giorni per capire quale delle due concezioni democratiche prevarrà sull’altra. Intanto il dato certo emerso da questa tornata elettorale, è lo schiaffo rifilato dai cittadini catalani al Primo Ministro Rajoy.