Perù in rivolta a causa della decisione di ieri di Pedro Pablo Kuczynski di concedere la grazia all’ex capo di stato di origine giapponese Alberto fujimori.
L’ex presidente era stato condannato a 25 anni per violazione dei diritti umani, corruzione e sostegno alle squadre della morte. Accuse non di poco conto che lo hanno tenuto imprigionato fino a qualche giorno fa. Fa scalpore la decisione di Kuczynski di concedere la Grazia, che tuttavia potrebbe avere una approvazione morale dato che il reo è ormai 79enne e in gravissime condizioni di salute dovuti a problemi inerenti alla pressione.
Rivolte in Perù: controversa la grazia a Fujimori
Subito mobilitata l’opinione pubblica contro questa decisione, che invece chiede a gran voce che sia revocata la grazia e che Fujimori sconti in carcere fino all’ultimo giorno, indipendentemente dalle sue condizioni di salute. Il tam tam mediatico è partito subito dai social network e presto la rivolta si è riversata sulle strade rendendo necessario l’intervento delle forze dell’ordine per proteggere l’ospedale dove Fujimori è stato ricoverato.
L'appello di Fujimori
Lo stesso ex presidente tramite un appello video chiede il perdono al popolo:
"Sono cosciente che i risultati durante il mio governo sono stati apprezzati da una parte dei peruviani. Però riconosco allo stesso tempo di avere defraudato altri compatrioti.
E a loro chiedo perdono con tutto il cuore"
Queste le sue parole che quindi mostrano prima di tutto un certo orgoglio in quanto fatto per una parte del paese, ma al contempo mostrano un pentimento nei confronti di chi di quelle scelte ne ha fatto le spese.
I sospetti
Tuttavia ci sono alcuni sospetti sulla reale spinta morale di Kuczynski, e si pensa più ad un accordo con una parte dissidente del partito dell’opposizione che ha in Kenji Fujimori, figlio dell’ex leader, il suo vertice.
Il sospetto nasce dal fatto che la liberazione di Fujimori coincida con il voto contrario di alcuni parlamentari alla mozione di impeachment discussa in parlamento venerdì scorso. Nega naturalmente ogni connessione il partito di Kuczynski.
Il problema morale
Si riapre quindi un problema morale che ha visto anche di recente coinvolto il nostro paese con il caso Riina: è giusto lasciare morire in carcere anziani in punto di morte?
O lo stato deve farsi promotore di spessore morale?
Questo è un quesito molto antico che vede nella storia della filosofia una lunga tradizione di dibattito.
Tra gli antichi impossibile non considerare Aristotele, che con la sua Etica Nicomachea ha scritto una vera e propria pietra miliare della riflessione morale.
Aristotele si chiede: “Che cosa è il bene per l’uomo?”. Il bene è infatti il fine a cui tende la ricerca umana, così lo definisce Aristotele, non soltanto per quanto concerne i singoli individui, ma anche per i gruppi compositi e le comunità. Il bene che viene ricercato in ambito etico, infatti, non è, a detto di Aristotele, differente da quello che viene ricercato in politica: il bene è lo stesso sia per l’individuo che per la comunità.
Questo mostra in maniera evidente la necessaria correlazione che sussiste in Aristotele fra etica, che si occupa del comportamento del singolo, e politica, che è lo studio delle forme di governo degli esseri umani nel contesto dello Stato e possiamo affermare quindi che l’etica è sottomessa alla politica, dato che questa, per la realtà greca in generale, è immagine del massimo grado di realizzazione dell’uomo, considerato per natura un animale sociale.
Lo studio dell’etica è prioritario rispetto alla politica poiché la vita politica ha come scopo principale quello di garantire la felicità delle persone.
Il contesto di Aristotele è quello della città stato greca, la Polis, il tipo di individuo a cui si ispira è quello del cittadino ateniese, possidente terriero e ricco, il cui interesse è che ci sia una amministrazione efficace della propria casa e al governo della città, e il gruppo sociale alla quale si rivolge è l’aristocrazia cittadina, che prende le distanze, o quanto meno dovrebbe farlo, dalla sete di potere e ricerca un modello di vita focalizzato sulla concretezza e sulla moderazione.
In un’ottica Aristotelica privata della sua natura di riflessione antica, e rielaborata in una esegesi contemporanea, sembra evidente che la moderazione a cui si fa appello alla classe dirigente debba privarsi del sentimento di vendetta ad ogni costo, è che sia quindi doveroso per la comunità garantire una morte dignitosa ad un anziano ormai totalmente innocuo e che è ormai prossimo a scontare la sua pena.
Prosegue in questa tradizione anche #Kant per cui la legge morale da all’individuo “la personalità” ovvero rende l’uomo autonomo e indipendente dai meccanismi naturali dell’istinto.
La caratteristica della legge morale è la sua purezza dato che nella sua caratterizzazione non può aver peso alcun elemento che faccia parte del mondo sensibile.
La legge morale non deve essere assunta in vista del conseguimento di nessun interesse e non deve avere alcuna relazione con i nostri impulsi, desideri, sentimenti. L’unico sentimento che è in relazione con la legge morale è quello del dovere che ci innalza al di sopra di tutta la realtà sensibile e ci libera dal meccanismo della natura.
Anche per Kant sembrerebbe quindi evidente che la giustizia non debba essere vendicativa assecondando quindi quel sentimento di violenza e accanimento nei confronti di un individuo anziano ormai prossimo alla morte.
Al di là degli spunti filosofici, il quesito che si pone in questo caso e che a quel punto coinvolge ogni individuo: morire accanto ai propri cari è un diritto inalienabile?
Se la risposta è positiva è evidente che accantonati i sospetti di interessi politici, la scelta di Kuczynski sembra moralmente corretta.
Di contro non è scontato che la risposta al quesito sia positiva.