Sono giorni bui per una Napoli afflitta da giovanissimi teppisti che si scagliano contro le debolezze sociali della città campana. Le ultime riguardano l'aggressione dell'ennesima baby gang contro dei senzatetto nella Galleria Umberto I a Napoli [VIDEO].
Una è avvenuta a novembre scorso, l'altra a dicembre, ma sono emerse soltanto oggi. La prima vede i teppisti prendersela con un clochard attaccando con la spranga gli scatoloni di un giaciglio di fortuna in cui dormiva, nella suddetta galleria; il gruppetto fugge mentre un residente, che ha ripreso tutto dal balcone, gli urla contro.
Nel secondo episodio, una gang aggredisce un altro senzatetto, ma stavolta uno di loro lo scaraventa su una saracinesca con un calcio sulla schiena, salvo poi provare a colpirlo nuovamente una volta avvicinatosi.
La parola a Kubrick
"Eravamo seduti nel Korova Milk Bar arrovellandoci il gulliver per sapere cosa fare della serata. Il Korova Milk Bar vende latte+, cioè diciamo latte rinforzato con qualche droguccia mescalina, che è quel che stavamo bevendo. È roba che ti fa robusto e disposto all'esercizio dell'amata ultraviolenza."
Forse anche questo potrebbe essere un caso di ultraviolenza, ossia l'esercizio preferito dei drughi. O, almeno, così direbbe Alexander DeLarge, lo stesso della summenzionata citazione, protagonista di Arancia meccanica, capolavoro cinematografico del poliedrico regista Stanley Kubrick.
E proprio attraverso quell'opera possiamo intrufolarci nella psiche della baby gang che stanno creando scompiglio nel napoletano e sondarne le dinamiche psicologiche.
Dopo lo sproloquio iniziale di cui sopra, il film si apre proprio in un sobborgo della distopica metropoli londinese, con alcuni atti criminosi perpetrati da questi drughi, tra cui proprio l'aggressione a un barbone ubriaco.
"Una cosa che non mi era mai piaciuta era la vista di un vecchio sporco sbronzo, che abbaia canzonacce care ai suoi padri e procede di rutto in rutto come se avesse tutta una lurida orchestra nelle sue putride budella." pensava ancora il drugo prima di riservare al senzatetto un trattamento ben poco amichevole.
Potremmo dire che Alex è l'espressione stessa della violenza: la incanala come un'energia vitale e la palesa nella libertà d'agire di quel futuro alternativo, che ben si presta ad una rilettura sociale di quell'ultraviolenza che il film stesso penetra, anche attraverso le ideologie assolutiste, ed esorcizza al contempo.
I suoi fratelli, come li chiama lui, ossia gli altri drughi, invece, sono fondamentalmente degli emulatori, delle capre: mossi dal più vile opportunismo, seguono il protagonista nelle sue attività giornaliere, ma non si faranno problemi ad abbandonarlo alla polizia.
Criticando la struttura sociale dominante, limitante la libera espressione individuale, Kubrick illustra sapientemente la condanna di Alex per omicidio e la sua conseguente rieducazione in seno allo Stato. E rifacendosi a quel carcere ideale che è il panottico, il regista elabora la sua concezione della società come prigione, che impone dei valori ritenuti dogmaticamente giusti, sopprimendo l’istinto dell’essere umano, del singolo, omologandolo a tutti gli altri.
La società dipinta in Arancia meccanica tende a disumanizzare le volontà individuali, reprimendo la violenza con l'uso della violenza stessa, ma in modo subdolo, per coercizzare le persone, privarle del libero arbitrio, in maniera non dissimile dal Grande Fratello di orwelliana memoria, e infine asservirle inermi al sistema.
Kubrick tentò di combattere, con questo film, la violenza sociale imposta dalla massa o da un gruppo sui singoli, rendendo di fatto la pellicola un manifesto per la libertà, a scapito delle ideologie di controllo di massa.
In seguito a quella che il film chiama "rivoluzionaria cura Ludovico", insomma, Alex diviene vittima delle proprie vittime, vittima della stessa società che ripudiava i drughi seviziatori, e i suoi compari dei poliziotti, ma presto ottiene nuovamente la propria volontà, così lo Stato, per ovviare all'insuccesso, la sfrutta a proprio vantaggio: sul finale, il Ministro della Giustizia imbocca Alex in ospedale, lasciando trasparire un chiaro messaggio di denuncia allegorica.
Nel 1971, Arancia meccanica scatenò tutta una serie di moralismi sociali che costrinsero Kubrick a ritirare il prodotto dalle sale, poiché gli spettatori iniziarono a ridurre il film ad una giustificazione della violenza e della nudità gratuita. Ma grazie alla repressione del malcontento, è stato possibile comprendere appieno il messaggio anti-propagandistico, ma anzi filosofico, del film, che si articola come una complessa indagine sociologica.
Come faceva notare il recensore Achille Bonito Oliva, "Kubrick profetizza [...] la pericolosità di una violenza estetizzante, anzi, la rappresenta, ce la mette sotto gli occhi, utilizzando la Nona di Beethoven e Rossini: una violenza a ritmo di musica", aggiungendo che la grandezza stoica e laica del regista si rintraccia paradossalmente nel suo non cercare soluzioni, ma solo esporre delle problematiche sociali.
E, forse, ricollegandoci alle baby gang napoletane, la domanda che sorge spontanea è proprio se la loro sia una violenza fine a se stessa e atta a provocare piacere, o se voglia soltanto farsi notare e dar voce all'ego smisurato della peggior feccia sociale.
"Folleggiammo alquanto con altri viaggiatori della notte da autentici sbarazzini della strada, poi decidemmo che era ora di eseguire il numero 'visita a sorpresa': un po' di vita, qualche risata e una scorpacciata di ultraviolenza."