Milioni di italiani ogni giorno si raccontano sui social network, attraverso la condivisione di contenuti, ma anche la pubblicazione di fotografie e della geolocalizzazione dei luoghi in cui si trovano. In pochi sembrano riuscire a resistere alla tentazione di postare sui social foto delle cene, delle feste con gli amici e delle vacanze. E magari esibire la nuova auto, moto o altri acquisti. Tutti elementi quest'ultimi che possono interessare ai detective del fisco, che sempre più spesso trovano in Instagram, Facebook e negli altri social network un valido alleato per svelare una vita al di sopra delle possibilità che emergono con la dichiarazione dei redditi.

Sono numerosi i casi di cittadini inchiodati durante un procedimento nei loro confronti dalle foto e dalle informazioni pubblicate sui social network, e nell'anno che ci siamo recentemente lasciati alle spalle sono aumentati considerevolmente.

Alcuni casi emersi

La Corte di Appello di Brescia grazie a Facebook è riuscita a scovare un maniscalco che lavorava in nero e che per il fisco non esisteva. "I documenti trovati su Facebook dimostrano un'attività che è probabilmente fonte di redditi non dichiarati al fisco", riportano i verbali che lo inchiodano. Ma grazie ai social i giudici hanno condannato anche un uomo che non intendeva corrispondere l'assegno di mantenimento all'ex consorte. Sosteneva di non avere le risorse per pagare l'assegno, ma i suoi profili social testimoniavano un tenore di vita molto migliore di quello dichiarato.

A Pesaro invece un imprenditore si è visto condannare dal Tribunale a corrispondere un assegno di divorzio alla moglie dopo che questo aveva pubblicato su Facebook delle foto che lo ritraevano in vacanza presso un hotel a quattro stelle e al volante di un'automobile di grossa cilindrata. Casi diversi tra loro che hanno in comune l'utilizzo dei social network quale strumento di prova nelle aule di un Tribunale.

Ovviamente non è sufficiente la pubblicazione di una o qualche foto per arrivare ad una condanna in fase di processo, poiché queste devono essere supportate da altri riscontri oggettivi, ma certamente giocano un ruolo importante. Dichiararsi poveri dopo aver pubblicato un mese prima le foto della settimana bianca e di cene a base di aragoste e caviale certamente non è un elemento che depone a nostro favore.

Una foto può fare scattare le indagini

Può essere sufficiente una selfie per fare partire un accertamento fiscale. E non si tratta di una "violazione della privacy", in quanto per i giudici della Cassazione Facebook è un luogo aperto al pubblico e dunque le foto ed i contenuti pubblicati possono essere acquisiti come elemento di approfondimento per una verifica fiscale. Il tutto viene affiancato da verifiche sugli acquisti, ed in particolare su talune categorie merceologiche, come elettrodomestici, pay tv, giochi online, ma anche vacanze e viaggi.