Un ghetto fatto di capanne e di tende, alloggi di fortuna, nati per ospitare le decine di migranti che arrivano durante la stagione delle arance nella Piana di Gioia Tauro. Baracche una accanto all'altra, cresciute nella tendopoli di San Ferdinando dove una notte come le altre si è trasformata in tragedia: una donna morta carbonizzata, due ferite e diversi ustionati. E' il bilancio di un incendio divampato per cause ancora da stabilirsi, che ha completamente distrutto oltre 200 capanne, incenerite insieme agli effetti personali di chi le abitava e che ha perso tutto.

Quando è scattato il primo allarme?

Il primo allarme è scattato attorno alle due di questa mattina, partendo da un'area centrale della tendopoli per poi estendersi al resto della zona. Sembrano escludersi le cause dolose, mentre emerge una verità semplice: la necessità di scaldarsi potrebbe essere alla base di un fuoco che sarebbe stato acceso nella notte. La vittima, Amine, una giovane trentenne nigeriana, non ha avuto scampo dalle fiamme che sono divampate senza darle il tempo di allontanarsi, mentre le altre due donne ferite si trovano ora ricoverate presso l'ospedale di Polistena.

I precedenti

Non è la prima volta che l'accampamento viene colpito da un incendio: solo un anno fa, il 23 gennaio, stessa apparente dinamica in cui rimasero feriti tre migranti in modo grave. Una situazione al limite, in cui come spesso accade nel post tragedia, le istituzioni predispongono gli interventi. In arrivo per questa sera una tensostruttura in grado di ospitare 600 persone, mentre è in allestimento una cucina da campo per assicurare un pasto caldo.

Il prefetto, Michele Di Bari, parla di un problema di sicurezza pubblica che ha richiesto la convocazione immediata di una riunione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, con la funzione di analisi delle condizioni attuali della struttura e di superamento delle criticità e dell'emergenza.

Una tragedia che richiama lo sguardo su una situazione estrema, dove risiedono circa mille migranti in condizioni igienico-sanitarie non conformi, alloggi che sono lo specchio di una precarietà di vita che non lascia alternativa, se non quella di pensare solo ai bisogni primari, lavorare per sopravvivere, vivere per soddisfare i bisogni primari, come cibarsi e trovare riparo, magari al calore offerto da un fuoco in una capanna di fortuna. Scenari da terzo mondo in un palco europeo.