Il giudice della commissione tributaria del Lazio, Nicola Russo, il noto imprenditore Stefano Ricucci e il socio d’affari Liberato Lo Conte, sono stati arrestati dalla Guardia di Finanza lo scorso 1 Marzo con l’accusa di corruzione in atti giudiziari. Gli accertamenti investigativi hanno portato alla luce un accordo amichevole dei tre finalizzato al pilotaggio di una sentenza relativa a un contenzioso tra l’Agenzia delle Entrate e una società riconducibile a Ricucci, la Magiste Real Estate Property, incentrata su un riconoscimento Iva di 20 milioni di euro vantato dall’imprenditore nei confronti dell’Erario.

L’inchiesta, condotta sui file sequestrati nel 2016, ha accertato la responsabilità del giudice Russo, reo d’aver favorito la posizione degli ‘amici’ sfruttando la qualità di relatore della sentenza d’appello con la quale si era ribaltata la precedente pronuncia della Commissione Tributaria del Lazio in cambio di donazioni, regalie e il pagamento di cene in ristoranti di prestigio e in locali notturni della capitale.

Il provvedimento cautelare arriva nel momento in cui l’Italia delle toghe sporche e delle mani pulite risale nella classifica redatta annualmente da Trasparency International, nella quale si registra un balzo di 18 posizioni rispetto al 2012. Il dato, in controtendenza con i registri passati, non manca di manifestare l’apporto offerto dall’ANAC (l'Autorità Nazionale Anticorruzione) e dai provvedimenti che, dalla legge Severino alle nuove norme sugli appalti, hanno tentato di invertire un trend negativo che vedeva l’Italia orbitare da anni tra le ultime posizioni nella classifica Europea.

Dalle toghe sporche della P3 alle infiltrazioni mafiose: lo Stato non ha ancora vinto

Pensare di aver vinto la lotta alla corruzione e alle infiltrazioni mafiose nella Pubblica Amministrazione lanciandosi in calcoli aritmetici di medio-bassa difficoltà è un rischioso bluff per ingenui pokeristi, il cui contrappasso di giocatori potrebbe essere l’incontro inatteso del nemico al varco con la conseguente sconfitta di una partita di mazzette e tangenti non appena la posta in palio si alzi un tantino.

Quando il piatto è il futuro di un’Italia in preda ai movimenti populisti e anti-sistema, si comprende come il dramma di un giudice che vende sentenze abbia un’eco di portata vasta, laddove il palazzo di giustizia, che dovrebbe costituire l’ultimo baluardo in difesa dell’equità, diviene espressione di un potere ripulitosi per rendersi presentabile, un potere sin troppo sensibile alle affabili sirene della vecchia amica corruzione.

Succede già nel lontano ’92, l’anno di Mani Pulite; succede nel 2010 col flirt malcelato delle ‘toghe di regime’ in combutta con la P3 di Dell’Utri, Verdini e Carboni e ancora nel 2014 col mercato delle prescrizioni, il rallentamento delle udienze, la compravendita d’informazioni segrete, segni tangibili di un vecchio che avanza senza dimostrare segni di demenza senile.

Il tempo ha dato la meglio agli strateghi dell’inabissamento, esperti nel trasformare le procure in banchi di nebbia, nascondendo nella gobba un metodo restio a scomparire, quella mafia di accordi, cricche, mediazioni, opposta alle logiche spregiudicate degli attacchi frontali alle istituzioni democratiche, una mafia che si fa beffa del gioco numerico delle 18 posizioni guadagnate in calcoli psicometrici o del singolo caso Ricucci-Russo che potrebbe essere un vano spauracchio o una fisima conservatrice se non s’inserisse nel solco della tradizione pluridecennale del ‘così fan tutti’.

Una cultura della mafia diversa dalla violenza anni ’90 finita dietro le sbarre del 41 bis, un mostro ermabifronte che s’inabissa e si palesa come un sibilo fluttuante e sinuoso sfuggendo al controllo degli organi preposti, infiltrandosi talvolta negli organi preposti, vestendo i panni del buono e del cattivo, tessendo la tela di inciuci e relazioni, intrecciando i percorsi di binari non necessariamente paralleli.

Il principio della pubblicità, della visibilità di un potere che si distacca dalle nefande segretezze, è pilastro di uno Stato di Diritto che abbia l’intento di demarcare uno spirito democratico consolidato da razionali argomentazioni basate sull’osservazione coerente, sulla possibilità di penetrare da parte a parte gli apparati pubblico-amministrativi scorgendo le eventuali malefatte.

L’Italietta della corruzione nettata d’onestà non ha ancora vinto la sua partita, ma il tormento di una mano sbagliata aleggia nei casi di malagiustizia. Pochi, ma comunque troppi. Emblema di una Nazione camaleonte incapace di spogliarsi dei vecchi vizi che rischiano di segnare il tracollo di una democrazia abile a vendere la pelle al migliore offerente, meno nel comprendere il rischio concreto della trasformazione del debito d’onore in riconoscenza di sovranità, in attiva sottomissione.