Facebook ha di recente chiuso la pagina del partito politico inglese Britain First e quella dei suoi due leader Paul Golding and JaydaFransen. La causa? Continui post incitanti l’odio verso gruppi minoritari. Un duro colpo per il gruppo, che su Facebook contava più di due milioni di follower e faceva della piattaforma americana il suo canale di comunicazione più efficace.
La notizia, accolta positivamente da Theresa May e Sadiq Khan, sindaco di Londra, ha aperto numerose discussioni.
Chi è Britain First?
Britain First è un partito inglese di estrema destra che nasce nel 2011 da alcuni ex membri del British National Party.
Patriottismo, nazionalismo, antieuropeismo e paura per una possibile “Islamizzazione” sono le colonne portanti del gruppo fondato da Jim Dowson, conosciuto tra i media britannici per continue campagne anti-aborto e per la sua adesione alla corsa alla Casa Bianca di Donald Trump. Se da una parte il partito riscuote numerosi consensi sui social, doppiando su Facebook il partito laburista, dall’altra ottiene un esiguo numero di consensi elettorali.
La strategia per una tale adesione mediatica è chiara: intervallare ai contenuti più “impopolari” e più vicini alla pancia, quelli più vicini alla sensibilità, come campagne per fermare la crudeltà sugli animali o indossare un papavero nel RemembranceDay, festa nazionale dei paesi del Commonwealth per ricordare la fine della prima guerra mondiale.
A questa si aggiunge un pizzico di fortuna: nel novembre del 2017, infatti, Trump retwitta alcuni loro video, fungendo da cassa di risonanza.
La censura e la libertà d’espressione
In un mondo dove i social network assumono sempre più importanza, tanto da essere quasi più decisivi dei comizi elettorali, l’azione di Facebook può essere interpretata come una presa di posizione non politically correct?
Spinoza, filosofo del XVII secolo, ha da dirci qualcosa in merito. Nel Trattato teologico-politico egli ritiene che «il diritto di pensare e di esprimersi liberamente non è trasferibile né può essere soppresso». Uno Stato che cercasse di sopprimere tale diritto fallirebbe in quanto «nessuno può rinunciare alla propria libertà di giudicare e di pensare quello che vuole, ma ciascuno è, per diritto imprescrittibile della natura, padrone dei suoi pensieri».
La libertà di espressione, secondo il filosofo olandese, è così connaturata nell’uomo e, per parlare con un linguaggio marxista, fa parte di quei diritti inalienabili. Quello stato, dunque, che agisce minacciando tale libertà, agisce contro natura e pertanto «è destinato all’instabilità».
Tale libertà deve essere sempre preservata, ne va della vita del singolo e dello Stato. Tuttavia Facebook è una comunità con delle regole e linee guida ben precise, che, se ripetutamente infrante, portano all’espulsione. Britain First, quindi, aderendo a Facebook ha implicitamente aderito a quelle “leggi”.
C’è inoltre da riflettere sull’enorme potere che il colosso americano ha al giorno d’oggi, in quanto ogni post potrebbe raggiungere più di due miliardi di persone con un solo click. È, quindi, comprensibile, se non addirittura auspicabile, che vi siano dei controlli e che si prendano delle misure contro determinati post che incitano «all’animosità e all’odio».