Alfie Evans è morto durante la notte, in una stanza dell’ospedale Alder Hey di Liverpool. Lo hanno annunciato i due genitori con altrettanti post su Facebook.

“Il mio gladiatore ha abbassato lo scudo”

Il primo ad annunciare la scomparsa del piccolo Alfie è stato il papà, sulla sua pagina Facebook è comparso un post dove era scritto “Il mio gladiatore ha abbassato lo scudo e messo le ali alle 2:30”, aggiungendo di essere disperato e di amare il suo bambino. Poco dopo, anche la mamma: “Al nostro bambino sono spuntate le ali alle 2:30, i nostri cuori sono spezzati”, poi i ringraziamenti per il sostegno ricevuto in questi giorni.

Nelle ore precedenti si era compreso che si stava avvicinando un momento critico: la zia di Alfie, Sarah Evans, sempre via social network aveva chiesto preghiere e di mandare “100 respiri profondi al nostro guerriero”, un indizio che lasciava intuire come si stesse avvicinando una crisi respiratoria dopo cinque giorni dal distacco dalla ventilazione meccanica.

Il distacco dalle macchine voluto dall’ospedale e dai giudici britannici

Alfie Evans soffriva di una malattia neurodegenerativa incurabile che rendeva necessari per la sopravvivenza non solo la ventilazione assistita, ma anche l'idratazione e il nutrimento tramite sondini. Nei mesi scorsi, i medici dell’ospedale Alder Hey, la struttura presso cui era ricoverato, di fronte all’impossibilità di guarigione avevano deciso di interrompere tutte le terapie di sostegno, una decisione che condannava inesorabilmente a morte il piccolo e contro cui i due giovanissimi genitori si sono opposti con tutte le forze.

Tutti i tribunali britannici hanno però puntualmente respinto i ricorsi presentati dai genitori di Alfie: prima il giudice Anthony Hayden ha deliberato che la scelta dell’ospedale era stata presa “nel miglior interesse per bambino”, poi la Corte di Appello ha confermato la sentenza, aggiungendo che “né l’Italia né il Vaticano hanno giurisdizione sul suolo britannico”.

Perché nel frattempo, al piccolo Alfie era stata concessa la cittadinanza italiana, una decisione-lampo presa per aprire uno spiraglio diplomatico al suo trasferimento in Italia e al ricovero presso l’Ospedale Bambin Gesù di Roma, che si era dichiarato disposto ad accoglierlo per proseguire le terapie. Dopo questo respingimento, che a diversi osservatori era apparso dettato da scelte politiche (il Bambin Gesù è di proprietà del Vaticano) si era offerto inutilmente anche l’ospedale Gaslini di Genova.

Tutto si era rivelato inutile, nel frattempo era stata tolta la potestà genitoriale al papà e alla mamma di Alfie (per impedire che portassero via di forza il bimbo dall’ospedale) ed è stato respinto un ennesimo ricorso alla Corte europea per i diritti umani.

Alfie non cedeva, gli attivisti si mobilitavano, all’ospedale è arrivata la polizia

Gli ultimi giorni di vita di Alfie sono stati quasi surreali: staccato da macchine e sondini, secondo medici e giudici doveva poter respirare da solo per 15-30 minuti, invece ha proseguito per cinque giorni la sua battaglia per sopravvivere. Fuori dall’ospedale Alder Hey si sono radunati centinaia di attivisti pro-vita per manifestare contro quello che iniziava ad apparire un sequestro di persona se non un accanimento verso la morte del piccolo.

Poliziotti hanno iniziato a presidiare costantemente sia l'ingresso dell'ospedale sia la stanza dove era ricoverato Alfie. Papà e mamma venivano perquisiti, prima di entrare nella stanza, perché la madre era stata sorpresa a mettere in po’ di zucchero sul succhiotto di Alfie e il rigido e burocratico “protocollo di distacco” deciso dall’ospedale e approvato dai tribunali vietava la somministrazione di qualsiasi alimento.

Di fronte alla resistenza di Alfie, l’ospedale ha ceduto un minimo: niente ventilazione, ma almeno maschera con ossigeno – sia pure con una “spettanza giornaliera massima” – e ripristino dell’idratazione per non fare soffrire troppo il piccolo. Che nonostante tutto, contro pareri medici e sentenze di tribunali, continuava a respirare.

Caduto nel vuoto un appello di Papa Bergoglio, ignorato un secondo appello presentato dagli Stati Uniti perché venisse data una nuova speranza ad Alfie, in Italia si sono moltiplicate le mobilitazioni soprattutto da parte del mondo cattolico, con i fedeli che si sono radunati in diversi punti per recitare il Santo Rosario per Alfie e la sua famiglia. Un sacerdote cattolico, don Gabriele Brusco, si è recato da Londra a Liverpool per somministrare al piccolo l’unzione degli infermi. E ha potuto raccontare che i genitori hanno trascorso le ultime notti con il figlio dormendo per terra, perché l’ospedale ha fatto rimuovere anche il divano che prima era presente nella camera di Alfie.

La fine della lotta

Alla fine il piccolo Alfie ha ceduto, dopo cinque giorni di lotta contro una burocrazia britannica sempre meno comprensibile. Ha messo le ali, se ne è andato da questo mondo. Resta il fatto che toghe, parrucche e camici avevano decretato una sopravvivenza massima di 30 minuti, senza ausili meccanici. Alfie ha resistito cinque giorni. Ha vinto lui, dimostrando che chi lo aveva condannato a una morte rapida sbagliava e fornendo al papà un’arma in più per affrontare la sua battaglia legale: nei giorni scorsi, Thomas Evans ha annunciato di voler querelare tre medici dello Halder Hey per avere sbagliato la diagnosi su suo figlio.