Dal prossimo mercoledì lo stato dell’Iowa rischia di diventare il più restrittivo negli Stati Uniti in fatto di aborto: a rafforzare quest’ipotesi sarebbe la proposta della cosiddetta legge "fetal heartbeat", avanzata dai legislatori locali, che vieterà la maggior parte degli aborti dopo sole sei settimane di gestazione (lasso ti tempo nel quale ancora molte donne non sono nemmeno consapevoli della gravidanza) poiché esso coinciderebbe con il periodo di rilevazione del battito cardiaco fetale. Sebbene il dettame consideri delle eccezioni a tali limitazioni - nel caso in cui la vita o la salute della madre fosse a rischio, in caso di stupro o di incesto - la possibilità di un’ufficializzazione ha già diviso l’opinione pubblica.

Repubblicani vs democratici: Iowa spezzato in due

Nascendo dalle ceneri di una legislazione già piuttosto rigida (attualmente un divieto vigente vieta infatti l’aborto dalle 20 settimane di gravidanza) la nuova norma proposta per lo Stato nel Midwest degli U.S.A. potrebbe non solo rincarare le proteste degli attivisti pro-aborto ma tramutarsi in un precedente a cui aggrapparsi per gli Stati nei quali una proposta analoga era già stata precedentemente bocciata: un caso recente è quello del North Dakota, che nel 2013 aveva visto bloccare permanentemente dalla Corte Suprema degli Stati Uniti una legge analoga che – come quella in discussione - sanciva il limite massimo per l’aborto non oltre le 6 settimane.

In questo caso l’ultima parola spetterà invece alla governatrice Kim Reynolds, che per ora non si è ancora espressa sulla sua futura decisione: nel frattempo,se da un lato i repubblicani descrivono quest’azione come “un coraggioso passo avanti che permetterà di difendere i più vulnerabili e coloro che non possiedono una voce”, la controparte democratica si oppone fermamente sottolineando l’incompetenza tecnica “di 51 membri del corpo decisionale che credono di saperne più degli esperti medici riguardo alle giuste pratiche da attuare”.

La psicologia dell'aborto

Vista l’importanza emotiva, sociale e culturale della figura materna, l’aborto resta uno dei tabù attuali più pregnanti della nostra epoca, discusso da molti ma (fortunatamente) vissuto sulla propria pelle da poche. Insinuandosi in quasi ogni aspetto della quotidianità non solo femminile ma unanimemente vissuta – dal tema dell’accudimento a quello del pilastro famigliare, fino alla realizzazione personale e delle aspettative socialmente imposte – quella circa l’aborto è così passata dall’essere una questione prettamente affidata alla donna ad un dibattito su scala nazionale.

Eppure, benché tale gesto sia considerato da molti egoistico edisumano, troppo spesso rischia di non trasparire quanto anche le madri stesse ne siano “vittime” incomprese. Gli studi condotti negli ultimi anni circa gli effetti dell’interruzione volontaria di gravidanza (i.v.g.) hanno infatti dimostrato quanto essa rivesta un ruolo tutt’altro che marginale nella patogenesi di disturbi psicopatologici: da una ricerca svolta su un gruppo di donne che 8 settimane prima si erano sottoposte ad un’i.v.g. è stato infatti riscontrato come a seguito di tale drastica scelta il 44% di loro presentassedisturbi mentali, il 36% disturbi del sonno, il 31% provasse rimorso e l'11% avesse optato per una prescrizione farmacologica.

Poiché l'attaccamento emotivo verso il feto da parte della madre si manifesta inconsapevolmente fin subito dopo il concepimento (coinvolgendo quindianche coloro che decidono di praticare un’i.v.g.) circa il 20% delle donne che abortisce prova uno“stress emotivo simile a quello delle madri che soffrono per la morte del proprio figlio”, il tutto accompagnato da massacranti sensi di colpa che rischiano di avere ripercussioni sulla salute psichica della persona mesi o addirittura anni dopo l’evento, ostacolando in alcuni casi il sano proseguo di una successiva gravidanza.