La settimana scorsa il senatore americano Bob Nonini ha rilasciato alcune dichiarazioni riguardanti l’aborto che hanno suscitato numerosissime critiche: “l’aborto è omicidio, chi abortisce dovrebbe essere condannato a morte”. A seguito di queste affermazioni anche la sua campagna elettorale per diventare vicegovernatore dell’Idaho è a rischio a causa delle innumerevoli critiche; i dati hanno subito confermato la crescente perdita di consensi per il senatore che ha dovuto correggere il tiro appena 24 ore dopo le fatidiche affermazioni.

Secondo il senatore la pratica dell’aborto non dovrebbe esistere, anzi ha proposto di condannare alla pena capitale tutte le donne che ricorrano a tale pratica.

Le affermazioni sono state rilasciate durante un forum del podcast cristiano Cross Politic, evento che vedeva anche il senatore tra i suoi ospiti. Tra questi c’erano anche Steve Yates, ex presidente del partito repubblicano dell’Idaho e Janine McGeachin, donna d’affari repubblicana, che nonostante concordassero sul fatto che l’aborto sia omicidio, hanno subito preso le distanze dalle affermazioni successive che riguardavano la condanna a morte come punizione.

Il senatore ha tentato di rimediare dopo essersi reso conto che le sue parole hanno avuto delle conseguenze piuttosto disastrose per la sua campagna elettorale, ma ormai il danno era fatto. Inizialmente ha negato di aver parlato di pena di morte per coloro che ricorrono a tale pratica, successivamente ha corretto le sue affermazioni sostenendo che le punizioni sono rivolte a coloro che attuano interventi di aborto, non alle donne che li subiscono.

Ha concluso dicendo che l’aborto è omicidio e in quanto tale sarebbe opportuno prendere dei provvedimenti in merito e che l’ipotesi di un processo giudiziario come possibile provvedimento potrebbe scoraggiare le donne ad abortire, riducendo quindi il numero degli aborti, senza condannare nessuno alla pena capitale o mettere le donne che ricorrono all’aborto in galera.

Aborto: libertà di scelta VS obiezione di coscienza

La pratica dell’aborto consiste nell’interrompere volontariamente la propria gravidanza attraverso i farmaci o la chirurgia (sono metodi recenti) ed è sempre stata praticata dall’uomo, ma solo recentemente sono state pensate delle leggi che regolano tale pratica.

Riferendoci alla storia contemporanea (in quanto più vicina ai giorni nostri) l’aborto veniva utilizzato con finalità diverse da quelle attuali, per esempio durante il governo di Lenin questa pratica veniva messa in atto come mezzo di controllo delle nascite.

Studi successivi hanno evidenziato che questa fu una delle principali cause che portò ad una drastica riduzione della popolazione. Durante il governo di Hitler la pratica dell’aborto fu usata in modo disumano: la sua intenzione era quella di creare la “razza perfetta”, perciò tutti coloro che non rientravano in determinati canoni dovevano essere eliminati. Primi tra tutti gli ebrei, quindi utilizzava l’aborto come un mezzo per distruggere tutti coloro che lui considerava “imperfetti”, procedendo alla successiva sterilizzazione delle donne che portavano in grembo una progenie “imperfetta”. In Italia fino agli anni Settanta le donne ricorrevano alla pratica dell’aborto in modo clandestino perché l’interruzione della gravidanza era considerata un reato; inoltre l’Italia è il centro della fede cristiana e per la Chiesa era impensabile che la donna venisse meno al suo dovere di procreare.

La legge 194/1978

Gli anni Settanta però sono anni di grandi cambiamenti, che vedono sulla scena politica e sociale nuove protagoniste che portarono avanti i cosiddetti movimenti femministi. Dopo anni di manifestazioni finalmente, nel 1978, si arrivò alla legge 194 che regola l’aborto in Italia: l’interruzione volontaria della gravidanza è richiesta dalla donna e può essere effettuata in presenza di gravi malformazioni del feto o se la vita della madre è messa a rischio dalla gravidanza. La legge però è costituita anche da un’altra parte sull’obiezione di coscienza: i medici possono rifiutarsi di interrompere una gravidanza per motivi di coscienza, ad eccezione di quando la vita della madre è in pericolo a causa della gravidanza.

La legge 194 racchiude in sé uno scontro tra diritti: da un lato viene riconosciuto il diritto del medico di rifiutarsi di praticare l’aborto per motivi di coscienza, dall’altro però l’elevato numero di medici contrari a tale pratica impedisce alle donna di esercitare un loro diritto. Sono state quindi proposte alcune modifiche alla legge ed una delle proposte chiede di conciliare i due diritti garantendo almeno il 50% di medici non obiettori in ospedale, cercando quindi di bilanciare i diritti di entrambi. Ancora oggi però è difficile applicare in pieno la legge perché c’è sempre uno sbilanciamento che avvantaggia l’obiezione di coscienza, nonostante quello della donna sia un diritto a tutti gli effetti.