La giustizia spagnola aveva archiviato il caso di Martina Rossi come un suicidio o comunque un incidente, la giovane trovata esanime il 3 agosto 2011 in una vasca ornamentale all’esterno dell’Hotel Santa Ana di Cala Mayor, a Palma di Maiorca, in Spagna. Martina, arrivata da due giorni sull’isola per una vacanza insieme a due amiche di Genova, era caduta da una camera al sesto piano dell’albergo: non la sua, ma quella di Luca Vanneschi ed Alessandro Albertoni, due ragazzi di Arezzo che aveva conosciuto la sera prima in discoteca. Secondo quanto raccontato da Albertoni, quella notte la donna durante una specie di raptus l’avrebbe aggredito all’improvviso, graffiandolo al collo ed accusandolo di volerla uccidere, prima di correre sul balcone della camera e lanciarsi nel vuoto.
Ma le autorità giudiziarie italiane non sono convinte di questa tesi: il pm segue la pista della tentata violenza che avrebbe portato al tentativo di fuga della ragazza, tentativo purtroppo finito tragicamente.
L’esame della traiettoria della caduta
Tuttavia le autorità italiane non hanno mai creduto a questa versione e, dopo anni di indagini, è ora in corso presso il Tribunale di Arezzo il processo ai due giovani, accusati di aver provocato indirettamente la morte di Martina nel suo disperato tentativo di sfuggire ad una violenza carnale. Tra le testimonianze chiave del dibattimento, quella del perito Marco Santini, che ha confermato la tesi del Procuratore Roberto Rossi: la ragazza non può essersi suicidata, ma è più plausibile che sia caduta accidentalmente mentre cercava di scappare.
L’esperto ha illustrato in aula i rilievi effettuati sulle perizie della polizia spagnola, osservando come la giovane fosse caduta perpendicolarmente, a poca distanza dall’edificio. Quindi bisogna escludere che la ragazza si sia lanciata nel vuoto o che sia stata spinta: in questi casi la traiettoria sarebbe stata molto più arcuata ed il corpo sarebbe finito più lontano, in linea d'aria, dal balcone della camera 609.
Nessuna traccia del Dna degli imputati
Altre importanti audizioni, nel corso dell’ultima udienza del processo, sono state quelle del medico legale Marco Di Paolo e della genetista Isabella Spinetti, i due periti che hanno esaminato la salma della povera Martina. Nelle analisi sui resti, ormai in pessime condizioni di conservazione, non è stata riscontrata alcuna traccia del Dna dei due imputati.
Inoltre le fratture presenti sarebbero tutte compatibili con la caduta della vittima. In particolare aveva destato sospetti la rottura della mandibola che, secondo la parte civile, sarebbe stata causata da un pugno sferrato durante il tentativo di violenza, ma per Di Paolo questa ipotesi è poco plausibile, anche perché un colpo così forte le avrebbe fatto perdere i sensi e non le avrebbe permesso di raggiungere il balcone.