C'è chi lo chiama hamburtech, l'hamburger del futuro coltivato in laboratorio. Alcuni storcono il naso richiamando l'etica, altri plaudono all'innovazione rappresentata dalla carne sintetica. Fatto sta che presto potremmo vederlo sugli scaffali negli States. Il dipartimento di Agricoltura targato USA e FDA (Food and Drug Administration) hanno mosso un primo step rendendosi disponibili a controllarne la produzione allo scopo di rendere il prodotto fruibile ai consumatori degli Stati Uniti. In una nota sul sito ufficiale della FDA, i due organismi hanno annunciato una esplicita dichiarazione di intenti: “Vogliamo promuovere questi prodotti alimentari innovativi mantenendo i più elevati standard di salute pubblica”.

Secondo quanto si apprende, la Food and Drug si occuperà della regolamentazione di raccolta, conservazione e vera e propria “coltivazione” delle cellule utilizzate nell'ambito della produzione di carne artificiale. Il Dipartimento di Agricoltura, dal canto suo, si occuperà della produzione in senso stretto e dell'etichettatura. Nel comunicato congiunto i due organismi affermano che avverrà una “transizione dalla supervisione della FDA alla USDA durante la fase di raccolta delle cellule”, ascrivendo a un “quadro normativo che sfrutterà le competenze della FDA nella regolamentazione della tecnologia delle colture cellulari e dei biosistemi viventi” la responsabilità della correttezza della filiera, grazie anche all'aiuto dell'USDA stessa per quanto riguarda la produzione di bestiame e pollame per consumo umano.

Carne del futuro: cos'è?

La carne prodotta in laboratorio sfrutta una tecnologia di riproduzione cellulare così complessa che sono pochi, al mondo, in grado di utilizzarla e sfruttarla. È del 2013 la notizia del primo hamburger “coltivato” in vitro: da quel momento i finanziatori hanno investito fortemente sul progetto. L'idea che funge da grimaldello chiama in causa l'etica ambientalista: la produzione di carne artificiale infatti eliminerebbe, secondo i sostenitori, il gravoso impatto ambientale in termini di risorse (Co2, acqua, coltivazioni) della carne coltivata con il metodo tradizionale.

Etica o non etica?

Sono molti gli aspetti controversi destinati a far discutere. Dall'effettivo peso in termini ecologici e di sostenibilità della produzione di carne “tradizionale”, all'utilizzo dell'animale “base” per la produzione dei tessuti clonati.

Secondo alcuni dati l'industria dell'allevamento è responsabile di circa il 15-18% delle emissioni globali, rispetto a un più cospicuo 65-70% derivato dall'impiego di combustibili fossili.

E poi c'è il problema etico: la produzione di “fake meat” si collocherebbe in una zona liminale per gli animalisti. Da una parte lo stop allo sfruttamento intensivo di esseri viventi; dall'altra, tuttavia, l'esigenza persistente di utilizzare una “matrice sacrificale” dalla quale iniziare la produzione cellulare. D'altro canto, sostengono i promotori, la carne sintetica scongiurerebbe tutti i problemi legati alla produzione industriale tradizionale: allevamenti intensivi idrovori, uso massiccio di antibiotici in ambito alimentare (largamente responsabili del fenomeno della antibiotico-resistenza), minore inquinamento su scala globale.

Ad ogni modo, il dado è tratto. Il frame è incorniciato. Non ci resta che assaggiare, o rifiutarci di farlo.