Ancora poca chiarezza in Turchia sul caso Khashoggi. Risale al 5 novembre la notizia dell'appello accorato che i due figli del giornalista, Salah e Abdullah Khashoggi, rispettivamente di 35 e 33 anni, hanno lanciato in occasione di un'intervista rilasciata alla CNN a Washington, chiedendo che gli venga restituito il corpo del loro padre. Lo hanno definito un uomo generoso e coraggioso e auspicano che la sua morte non sia avvenuta in maniera eccessivamente violenta e dolorosa.

Poca chiarezza sull'accaduto

Ciò che c'è di certo nella faccenda è che Jamal Khashoggi, editorialista e scrittore autoesiliatosi negli Stati Uniti, lo scorso 2 ottobre entrava nel consolato saudita di Istanbul per poi non uscirne più.

Scopo della sua visita ottenere i documenti necessari alla finalizzazione del matrimonio con la sua compagna turca, la quale non vedendolo uscire diede l'allarme denunciandone la scomparsa. Nonostante l'Arabia Saudita, dopo giorni di pressioni internazionali, abbia confessato che l'uccisione di Khashoggi sia avvenuta all'interno del consolato a causa di una rissa con dei funzionari sauditi sfuggita di mano, non sono ancora chiare le motivazioni e le modalità dell'accaduto.

Un alto funzionario vicino al governo saudita ha fatto trapelare notizie per cui il principe ereditario Mohammad bin Salman avrebbe ordinato di rimpatriare tutti coloro che si erano autoesiliati e che vivevano all'estero, tra cui lo stesso Khashoggi.

Così alcuni alti funzionari sauditi si sarebbero recati in Turchia per rimpatriare Khashoggi e, stando al racconto, al momento dell'incontro, per dissuaderlo da un eventuale tentativo di fuga, lo avrebbero fermato e strangolato. Tuttavia le autorità turche affermano di essere in possesso di video e audio che testimonierebbero che il giornalista non sarebbe morto per un'imprevista colluttazione, bensì a seguito di una chiara premeditazione, dopo essere stato squartato, subendo un'agonia della durata di sette minuti, il cui esecutore materiale sembrerebbe essere un medico vicino al principe ereditario Mohammad bin Salman.

Il 24 ottobre, a seguito delle indagini dei funzionari turchi, l'Arabia Saudita ha confermato che l'assassinio di Jamal Khashoggi è stato premeditato.

La vera identità di Khashoggi

A prescindere dall'ammissione da parte dell'Arabia Saudita della premeditazione e dell'esecuzione dell'omicidio di Khashoggi, la figura del giornalista rimane controversa e si celano ancora dubbi dietro le sue ideologie.

La stampa internazionale restituisce una delle peggiori immagini che l'Arabia Saudita potesse ricevere, ma nonostante ciò la stampa saudita continua a veicolare informazioni di un Khashoggi sostenitore jihadista, pericolosamente collegato con la Fratellanza Musulmana, talvolta affermando che avrebbe sostenuto l'ideologia di Osama Bin Laden, da lui intervistato nell'87.

Non esistono dichiarazioni a lui attribuibili che lascino intendere una simile appartenenza; egli scriveva per importanti quotidiani sauditi, prima che la sua voce venisse percepita come scomoda. Sembrava appoggiare il regime saudita, almeno come lo aveva conosciuto prima dell'avvento di Mohammad bin Salman, con il pericolo di una deriva totalitaria.

Cominciò dunque a sostenere la necessità di una maggiore libertà di stampa e, anche dopo il trasferimento negli Stati Uniti, nell'ultimo editoriale per il Washington Post, scriveva che ciò di cui il mondo arabo ha più bisogno è maggiore libertà di espressione. Così, a poco più di un mese di distanza dall'accaduto, si alternano le voci di chi lo vuole un coraggioso dissidente e chi lo dipinge come un fiancheggiatore dei jihadisti, entrambi papabili moventi dell'omicidio.