Dice di essere indigente e per questo ha chiesto di accedere al sussidio di povertà, quello al momento previsto dalla legge vigente, il reddito d'inclusione, misura che prevede un sostegno dallo Stato verso famiglie che dichiarino un ISEE inferiore ai 6 mila euro l'anno.

Solo che l'ha chiesto in modalità non proprio lineari e trasparenti, e lei non è una cittadina qualsiasi. Infatti, a Corleone dove vive, paese che ha dato i natali ai 'capi dei capi' della mafia, Totò Riina e Bernardo Provenzano, Maria Maniscalco, è conosciuta da tutti per essere la moglie del capomafia Rosario Lo Bue, proprio uno dei fedelissimi di Provenzano.

La sua domanda era 'a buon punto' ai Servizi Sociali quando Nicolò Nicolosi, nuovo sindaco del paese del palermitano sciolto per mafia, grazie a una segnalazione da parte della redazione palermitana del quotidiano 'La Repubblica', l'ha bloccata.

Corleone, la moglie del capomafia chiede il sussidio di povertà

A far scoppiare il caso, è stata la denuncia della redazione di Plaermo de 'La Repubblica'. E' stato il quotidiano a scoprire la vicenda e a chiedere spiegazione al neo sindaco che, eletto lo scorso 26 novembre, sulle prime è rimasto sorpreso. Non ne sapeva nulla e, dopo aver verificato il caso, è rimasto allibito lui per primo.

Le date in questa vicenda non sembrano casuali: lo scorso 23 novembre, proprio due giorni prima delle elezioni amministrative, Maria Maniscalco moglie di Rosario Lo Bue, il signore degli appalti, attualmente in carcere per scontare una condanna di 15 anni, ha presentato domanda per accedere al reddito di inclusione.

Il responsabile della pratica presso il servizio Politiche sociali del Comune, aveva anche dato l'ok e la richiesta stava viaggiando spedita: il Comune aveva già dato il via libera al'Inps a cui spetta l'ergazione del sussidio, finché non c'è stato un intoppo procedurale. La donna aveva inserito nel nucleo familiare anche il marito detenuto.

Qualcuno dell'ufficio comunale, come ha raccontato il sindaco una volta ricostruito il fatto, con zelo estremo si è preso la briga di chiamare la signora per avvisarla del vizio formale.

Allora la donna ha presentato una seconda istanza 'corretta'. Secondo il sindaco, la prima richiesta è partita il 23 novembre in modo che la domanda non potesse essere visionata dai commissari prefettizi e neanche dalla nuova amministrazione.

La seconda, è arrivata il 4 dicembre, giorno dell'insediamento del primo cittadino che non avrebbe mai potuto scoprirla perché la pratica va direttamente agli uffici.

Il neo sindaco blocca la pratica

Il neo sindaco, che in realtà è un politico di lungo corso, ha 76 anni ed è stato già sindaco di Corleone dal 2002 al 2007, oltre che più volte deputato regionale e per una legislatura è stato eletto alla Camera dei deputati, dopo la segnalazione di 'Repubblica', ha subito provveduto a bloccare la pratica, ora ferma all'Inps.

C'è un'indagine interna per individuare il dipendente che l'ha predisposta che subirà un provvedimento disciplinare. E sono in corso accertamenti: "Sorge spontaneo il dubbio che la famiglia di un mafioso non sia proprio nullatenente", dice Nicolosi.

Corleone, stessa strategia dei familiari di Riina

Chiedere misure assistenziali allo Stato, pare sia una strategia che accomuna i familiari di mafiosi. Destò scalpore la notizia che riguardava una delle figlie di Totò Riina, Lucia, che fa la pittrice e continua a vivere a Corleone, come sua madre Antonietta Bagarella detta Ninetta.

Nel 2017, quando il comune di Corleone sciolto per mafia, era retto da tre commissarie prefettizie, Lucia provò a chiedere il bonus bebè, l'assegno mensile previsto per genitori con reddito minimo, ma incassò un no deciso. E così suo marito, Vincenzo Bellomo, che presentò una nuova domanda, anch'essa bocciata. Proprio come la signora Maniscalco, i coniugi sostevano d'essere nullatenenti.