Una donna di 65 anni ha rifiutato una trasfusione di sangue ed è morta. È successo nel Casertano, sotto gli occhi impotenti del primario dell'ospedale di Piedimonte Matese: la scelta della paziente, testimone di Geova, è stata dettata da motivi religiosi.
Testimone di Geova rifiuta la trasfusione: la dura reazione del medico sui social
Lo scorso venerdì 27 settembre, a causa di una emorragia dovuta a una gastrite, una donna è deceduta nell'ospedale civile di Piedimonte Matese (Caserta). Per ristabilire i parametri, è stato ritenuto necessario il ricorso a una trasfusione di sangue, ma la donna, 65enne, ha rifiutato la terapia per motivi religiosi.
I suoi famigliari, anch'essi testimoni di Geova, hanno appoggiato la sua scelta, chiedendo ai medico di effettuare delle cure alternative. Il Primario Gianfausto Iarrobino non ha potuto fare altro che esercitare la volontà della paziente, ma, successivamente, si è sfogato in un lungo post su Facebook.
Il medico ha scritto che in 30 anni di carriera non si era mai trovato in una situazione di tale impotenza. Iarrobino ha aggiunto che la donna si sarebbe anche potuta salvare, come era già successo in altri due casi, se solo gli avessero permesso di eseguire la terapia. In passato altri pazienti, sempre testimoni di Geova, avevano rifiutato di curarsi, ma i medici, per uno, riuscirono a ottenere l'autorizzazione dal tribunale (il paziente non era maggiorenne), mentre il secondo non era cosciente, quindi non poteva esprimere la sua volontà.
Il primario, molto rammaricato, ha ricevuto messaggi di consenso da parte di colleghi e ha criticato aspramente questo avvenimento. Inoltre, ha disapprovato il comportamento dei figli che hanno sostenuto la scelta della madre.
I figli annunciano un'azione legale nei confronti del medico
I familiari della donna deceduta sono intervenuti sulla faccenda con una lettera, rispondendo alle affermazioni del primario.
Secondo i figli della 65enne, il medico avrebbe delle responsabilità in quanto non ha avrebbe utilizzato prontamente i metodi alternativi che gli avevano richiesto, come medicinali che innalzassero i livelli di emoglobina. Hanno spiegato che la donna era molto religiosa, come tutta la famiglia, e che per loro è inaccettabile ricorrere a una trasfusione di sangue.
Nella lettera hanno raccontato che al momento del ricovero della donna, avevano tutte le intenzioni di salvarla e hanno comunicato ai medici di curarla in ogni modo, tranne che con le trasfusioni. I figli hanno anche provveduto a fornire, al personale del medico, del materiale scientifico in merito a delle strategie alternative. Secondo loro, con un perdita di sangue in corso, la trasfusione sarebbe servita poco. Con parole dure hanno controbattutto alle affermazioni del primario e hanno annunciato una possibile azione legale nei confronti dei medici dell'ospedale.