Ufficialmente era il direttore responsabile della ditta: in realtà, secondo quanto accertato dalla polizia, uno degli uomini finiti in manette la scorsa mattina era la mente e il basista del colpo messo a segno nel sassarese lo scorso 7 gennaio. Per la cronaca una banda armata aveva infatti preso d'assalto un tir carico di soldi, che stava uscendo dalla sede dell' “Arco Spedizioni”. Una ditta di trasporto merci con sede a “Funtana di Coibu”, nella zona industriale di “Predda Niedda”, a pochi chilometri da Sassari.
Il colpo aveva fruttato oltre 100 mila euro, tra denaro in contanti e assegni.
Per questo il 21 aprile, dopo mesi di certosine indagini, gli uomini della Squadra Mobile hanno arrestato quattro persone, presunte autrici del colpo. Si tratta di M. S., 43 anni, direttore della sede “Arco Spedizioni”, considerato la mente del colpo. Insieme a lui il figlio di soli 17 anni, il nipote S. G. C., 30 anni e il suo amico A. C., che di anni ne ha 31, tutti residenti a Porto Torres. I tre maggiorenni, dopo tutti i controlli di rito in Questura, sono stati rinchiusi in una cella del carcere sassarese di Bancali. Mentre il 17enne, che si trovava a Messina per seguire un corso, è stato accompagnato dalla polizia nel carcere minorile di Acireale.
Le prove raccolte dagli investigatori della Mobile sarebbero così schiaccianti che il gip Giuseppe Grotteria, su richiesta del sostituto procuratore Mario Leo, ha firmato immediatamente l'ordinanza di custodia cautelare in carcere per i maggiorenni.
La richiesta per il minorenne è stata messa nero su bianco dal Tribunale dei minori.
Le ricostruzioni da parte degli inquirenti
Secondo quanto ricostruito dagli uomini della Squadra Mobile di Sassari, coordinati dal primo dirigente Dario Mongiovì, il colpo era stato messo a segno la sera dello scorso 7 gennaio. I malviventi erano entrati in azione proprio quando l'autoarticolato carico di soldi stava uscendo dalla ditta di spedizioni.
Secondo l'accusa sarebbe stato proprio il figlio 17enne del direttore a puntare l'arma da fuoco contro l'autista. Poi i tre rapinatori, tutti con il volto coperto, avevano obbligato il conducente del mezzo a consegnare loro i telefoni cellulari, quello personale e quello aziendale. In questa maniera l'uomo, dopo la loro fuga, non avrebbe potuto subito dare l'allarme.
A quel punto la banda, che sicuramente conosceva tutti i movimenti, aveva portato via il contenuto del mezzo. Cinque cassette di sicurezza che contenevano 16 mila euro in contanti, oltre che assegni al portatore per un valore di 86 mila euro. Dopo la razzia i tre erano avevano fatto perdere le loro tracce, sparendo nel nulla. Gli agenti della Squadra mobile, allertati del colpo, avevano immediatamente raggiunto il capannone nella zona industriale di Predda Niedda. Poco dopo era arrivato anche il direttore della ditta. Il suo atteggiamento, secondo la polizia, da subito era apparso sospetto. Sembrava quasi “ostruzionistico”, hanno assicurato gli inquirenti. Proprio per questo, per alcuni mesi, gli inquirenti avevano deciso di tenere sotto controllo il direttore.
Determinanti le intercettazioni
Gli investigatori della Squadra mobile da subito avevano capito che c'era qualcosa di sospetto nella rapina messa a segno nella zona industriale di Sassari. E l'atteggiamento del direttore dell'azienda aveva confermato i loro sospetti. Anche perché – lo scrive il gip nell'ordinanza di custodia cautelare – all'origine della rapina c'era un impellente bisogno di denaro da parte del direttore, considerato la mente del colpo. L'uomo infatti aveva bisogno di “10mila euro, per sopperire alle proprie esigenze abitative”, scrive il giudice. Per questo avrebbe progettato il colpo “facile” all'interno della ditta che dirigeva. Ma non solo, nelle intercettazioni, il direttore avrebbe addirittura preso in giro il collega che guidava l'autoarticolato.
L'uomo, infatti, dopo il colpo era rimasto scioccato per lungo tempo.
M.S. non aveva partecipato in prima persona al colpo per la paura di essere riconosciuto. Ed è proprio questo il motivo per il quale il direttore avrebbe affidato l'azione criminale a tre persone di fiducia, compreso il figlio di soli 17 anni.