Lo scorso venerdì 25 novembre, davanti al GUP del Tribunale di Caltagirone, si è celebrata l’udienza preliminare di discussione del procedimento penale nei confronti di Irina Bostan, imputata dopo il decesso di suo figlio A. S., di 14 anni, affetto da tetraparesi spastico-distonica intellettiva grave. La donna è stata condannata a 6 anni e 8 mesi.
Alla vigilia di Ferragosto del 2021, a Grammichele, in provincia di Catania, la donna lasciò il minore a una prolungata esposizione al calore in pieno giorno, causandogli la morte per ipertermia. Tale condotta è risultata anche essere recidiva da parte della madre.
Rito abbreviato, perizia psichiatrica rigettata
A seguito della richiesta di giudizio immediato, avanzata da parte del Pubblico Ministero, l’imputata, tramite il proprio difensore di fiducia, Gianluca Nobile di Ragusa, aveva chiesto il rito abbreviato. Il GUP ha rigettato una richiesta di perizia psichiatrica.
La pubblica accusa - rappresentata in udienza dal sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Caltagirone, Samuela Maria Lo Martire - ha ripercorso dettagliatamente e minuziosamente tutte le fasi della vicenda e ha concluso chiedendo la pena massima prevista per il reato ascritto alla madre.
La sentenza di condanna
I familiari, che si sono costituiti come parte civile tramite il legale di fiducia Luca Strazzulla, si sono formalmente associati alla richiesta di condanna formulata da parte del sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Caltagirone.
Il GUP del Tribunale di Caltagirone ha dichiarato la donna colpevole e ha diminuito la condanna alla pena di 6 anni e 8 mesi di reclusione, nonché al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare. La donna è stata anche interdetta in perpetuo dai pubblici uffici e condannata anche al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili, da quantificarsi in separata sede.
Familiari scontenti per la pena inflitta
Quanto deciso nella sentenza ha lasciato una certa insoddisfazione nei familiari del ragazzo per la sentenza, che ritengono troppo contenuta la condanna inflitta alla donna.
Gli stessi familiari ritengono che delle norme di legge che prevedano condanne più severe per fatti simili costituirebbero un maggior deterrente.