Non era un tifoso del Cosenza. Anzi. Il 18 novembre 1989 era latitante a Milano. Del calciatore 27enne Denis Bergamini, trovato cadavere vicino alle ruote di un camion sulla statale 106 nel territorio di Roseto Capo Spulico, ha memorizzato il volto solo dopo la morte. Nel processo che vede alla sbarra Isabella Internò con l’accusa di omicidio volontario pluriaggravato, ex fidanzata del centrocampista di Argenta (FE) oggi il collaboratore di giustizia Franco Pino ha testimoniato innanzi la Corte d'Assise di Cosenza presieduta da Paola Lucente con a latere il giudice Marco Bilotta.
Collaboratore di giustizia ed ex boss in grado di influire sugli appalti sedendo al fianco di politici, imprenditori e ‘ndranghetisti di alto calibro ha risposto alle domande del pm Luca Primicerio della Procura di Castrovillari. Pino ha raccontato che solo a fine novembre del 1989 furono revocati gli ordini di cattura.
Omicidio Bergamini, in aula il collaboratore di giustizia Franco Pino
“Non ero a Cosenza il giorno dell'omicidio Bergamini. All’epoca si parlava di suicidio. Era una versione che stava bene a tutti”. Una frase che il pentito dichiarò in un altro cold case - “Faceva comodo a tutti in quella maniera” – riferendosi all’uccisione della studentessa 19enne Roberta Lanzino a Falconara Albanese nel luglio del 1988.
"In quel periodo il gruppo Pino - Sena era in guerra da anni con i Perna - Pranno. Di questa vicenda non so niente. Avevo rapporti con qualche dirigente del Cosenza Calcio e con il presidente Serra. Quest’ultimo mi contattò per “sistemare” due partite: Avellino – Cosenza e Pescara – Cosenza. A Castallammare di Stabia, per il match con l’Avellino mi ero interfacciato con il gruppo campano di Michele D’Alessandro.
Mi mandò 4 persone a Cosenza alle quali dissi che dovevano intervenire sull’Avellino e i rossoblù che stavano retrocedendo incassarono punti utili. L’accordo era che avremmo ricambiato il favore. E così fu. Mi sembrarono modalità rodate, ma non so se altri gruppi criminali facessero lo stesso”.
Il pentito: “La versione del suicidio soddisfaceva tutti”
Nel corso dell’udienza sono emerse le dichiarazioni rese da Pino all’ex procuratore capo di Castrovillari Eugenio Facciolla nel 2018: “Se era un omicidio mi meraviglio come non mi avessero detto nulla o chiesto nessuna informazione”. “Conobbi Maurizio Internò in carcere – ha dichiarato questa mattina in aula - dove era detenuto per una rapina ad un imprenditore cosentino. So che erano vicini di casa con Francesco Patitucci. Parole ce ne erano tante nei nostri ambienti, ognuno diceva la sua. Non era una questione riguardante le nostre dinamiche, non ci interessava fare accertamenti sulla morte di Bergamini. Si diceva che si fosse suicidato perché questa versione soddisfaceva tutti, a partire dal Cosenza Calcio”.
Il perito: “Avrei dovuto rifiutare l’incarico”
Pasquale Coscarelli, 85 anni, tecnico esperto specializzato in infortunistica stradale di provata esperienza, fu chiamato dalla Procura di Castrovillari il 23 novembre del 1989 per una consulenza sull'omicidio Bergamini. “Mi dissero – ha dichiarato Coscarelli - che dovevo ricostruire la dinamica di questo incidente stradale. Come documentazione mi diedero solo un rapporto redatto dalla pg verbalizzante e il materiale fotografico raccolto dai carabinieri. Non avevo né documentazione sanitaria (anche se la chiesi con insistenza), né potevo vedere il camion perché era stato dissequestrato già a circa una settimana dalla morte di Denis Bergamini (eppure a Castrovillari i mezzi venivano sequestrati anche per 10 mesi), né possedevo copia delle dichiarazioni di Internò e del camionista.
Mancavano elementi concreti per fare una relazione, dissi che potevo solo fare un diario dello stato dei luoghi e per depositarlo mi diedero 12 giorni. La relazione redatta da me chiedo non venga tenuta in considerazione. Non potevo esprimermi, avrei dovuto rifiutare l’incarico. Chiesi, senza esito, in seguito di approfondire gli accertamenti sia al pm di Castrovillari sia al pretore di Trebisacce”.
La frenata incompatibile
“Feci il sopralluogo 10 giorni dopo l'incidente – ha spiegato Coscarelli - e mi resi subito conto che le tracce di frenata erano incompatibili con quelle riportate nel verbale. Ho disegnato una planimetria nella quale ho riportato tutto quello che avevo trovato sul posto, delimitando il campo del sinistro, della posizione del mezzo e del cadavere.
È un tratto di strada sinuoso la piazzola in terra battuta veniva usata per la sosta temporanea dei veicoli e i mezzi che ne uscivano portavano con sé terriccio e quella sera che piovigginava l’acqua mescolata alla polvere avrebbe creato un manto viscido. Ritenevo che si trovasse a margine della strada, ma ripeto non avevo elementi. Il camion avrebbe potuto avere una velocità modesta, di circa 30 chilometri orari, non compatibile con le tracce di frenata di 49 metri indicate (avevo fatto presente al brigadiere Barbuscio di segnalarlo nel rapporto che quelle del camion erano di circa 7 metri) e che nulla avevano a vedere con l’omicidio di Bergamini. Il suo corpo avrei potuto dire che è stato trascinato e compresso dal camion sulla fanghiglia, per questo non troviamo tracce di frenata delle ruote anteriori.
Non c'è stato il sormontamento. Di certo non si è potuto lanciare sotto il camion, poteva essersi avvicinato per fermare il camion per chiedere un passaggio per andare via ed essere stato agganciato, ma non essersi gettato sotto. Non posso dire quale fosse il punto d’impatto e se Bergamini fosse in piedi o disteso quando è stato attinto”.