Appalti gestiti dalle cosche ed estorsioni. Collegato in videoconferenza con l’aula bunker di Lamezia Terme, il collaboratore di giustizia Andrea Mantella ha ricostruito le dinamiche imprenditoriali che governano parte del mercato dei lavori pubblici in Calabria. Uno spaccato emerso dalle dichiarazioni rese nel corso dell’odierna udienza del troncone principale del maxiprocesso Rinascita Scott, nato dall’operazione del dicembre 2019 coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri, che vede alla sbarra oltre 300 imputati.

Innanzi al collegio giudicante, presieduto da Brigida Cavasino con a latere i giudici Claudia Caputo e Gilda Romano, Mantella ha risposto alle domande del pm Annamaria Frustaci tentando di far chiarezza sui territori di competenza dei vari clan.

Narcotraffico ed estorsioni

“Giuseppe Barbieri detto Padre Pio – afferma Mantella - è un affiliato del clan Bonavota di Sant’Onofrio con il quale ho avuto rapporti sia a livello estorsivo sia a livello di narcotraffico. L’ho conosciuto tra il 2003 e il 2004 , quando andavo a Vibo Valentia in permesso il fine settimana nel periodo di detenzione nella clinica Villa Verde nella quale ero ospitato grazie a delle perizie psichiatriche fasulle. Barbieri mi rivelò che Pantaleone Mancuso alias Scarpuni era stato scarcerato e in quel momento capì che vi sarebbero stati problemi nella regolare riscossione del pizzo.

Barbieri aveva preso il posto di Francesco Fortuna nel fungere da faccendiere per i Bonavota. Il costruttore di Stefanaconi, Nazzareno Guastalegname, (legato ai sangregoriesi Gioffrè-Gasparro-Razionale) si era aggiudicato una serie di lavori sul viale di Pizzo, e Barbieri aveva difficoltà a gestire la situazione proprio a causa delle pretese vantate dalla cosca Mancuso.

In questo contesto entra in campo la figura di Gregorio Gioffré alias Nasone, una sorta di ministro ai Lavori Pubblici della criminalità organizzata. Un uomo che riusciva a tessere reti che mettevano d’accordo ‘ndrangheta e imprenditoria attraverso il racket. Incassava migliaia di euro a titolo di estorsione, tratteneva una somma per sé e il resto lo versava alla cosca di turno.

Rosario Lo Bianco che aveva ricevuto un subappalto da Guastalegname però mi disse che non sapeva a chi doveva dare i soldi se ai sangregoriani o ai Bonavota di Sant’Onofrio. Ovviamente anche l’azienda di Lo Bianco era vicina alle cosche, ma come consuetudine doveva fare dei regali per poter lavorare. Si tratta di migliaia di euro ripartiti in base a una precisa geografia criminale. Nella zona di Pizzo si erano imposti i Bonavota, mentre su Curinga, Angitola c’erano gli Anello. Era un accordo prestabilito tra clan. Non sapendo come agire, Barbieri e la sua compagine ordirono un attentato ai danni di Guastalegname perché non corrispondeva più nulla dopo la scarcerazione di Scarpuni e si sospettava stesse pagando tutto a lui”.

I rapporti tra Padre Pio e Bonavota

“Diverse erano le attività sotto le grinfie del racket dei Bonavota, a partire dai supermercati Sisa. Nel 2009 - ricorda il collaboratore di giustizia Mantella - Domenico Bonavota era detenuto, ma continuava ad avere rapporti con Padre Pio all’anagrafe Giuseppe Barbieri. Era un legame ‘ndranghetistico, comunicavano attraverso pizzini che Bonavota riusciva, a far entrare e uscire dal penitenziario, arrotolava così bene i foglietti che diventavano piccoli quanto un cotton fioc. Nel momento in cui una ditta di Cirò vicina al clan Farao prese l’appalto per la messa in sicurezza del costone che affaccia sulla spiaggia detta della Seggiola a Pizzo comunicò a Padre Pio di essere più magnanimo.

Trovarono un accordo sugli importi da versare a titolo estorsivo perché Peppe Farao e Domenico Bonavota in quel momento erano detenuti nello stesso carcere. I lavori però vennero bloccati per irregolarità di tipo paesaggistico ambientale”.

I lavori sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria

“Esiste una ripartizione dei territori attraversati dall’autostrada per evitare che escavatori e cantieri vengano danneggiati a scopo intimidatorio. Il tratto lametino – precisa Mantella – è di competenza dei Iannazzo, da Pizzo a Rosarno sono stati i Mancuso a fare le suddivisioni, più a sud subentrano invece i reggini. Giuseppe Prestanicola, imprenditore ‘ndranghetista vicino ai Mancuso di Limbadi e ai Pelle di San Luca, aveva in mano diversi lavori sull’autostrada sia in appalto sia in subappalto.

Si occupava non solo della realizzazione delle infrastrutture, ma anche di noleggio mezzi e forniture di calcestruzzo”.

Il business della droga

“Barbieri detto Padre Pio e i Bonavota prendevano la droga all’ingrosso – racconta il collaboratore di giustizia in collegamento da sito riservato - mi avevano detto che potevo prelevarne quanto volevo per venderla. Io però non trattavo la droga, fungevo solo da garante e dividevo con loro gli utili. Avevo a mia disposizione Francesco Macrì che era una sorta di chimico che sapeva trattare bene il taglio. Il mio socio Francesco Srugli si riforniva dai Bonavota e nel business, mentre ero ai domiciliari in clinica, erano subentrati anche i piscopisani. So per certo che la cocaina veniva venduta a Bologna e ricordo che quando i Bonavota non avevano disponibilità io mi rivolgevo al clan degli Emanuele oppure a Peppone Accorinti, di rado ho chiesto delle partite a Saverio Razionale.

Per l’eroina mi sono invece sempre interfacciato con Gregorio Giofré”.

L’edilizia governata dalle cosche

“Giuseppe Fortuna, meglio noto come Pinu u Cacato (oggi presente in aula ndr) è un operaio che ha fondato un’impresa di costruzioni dietro la quale operavano i suoi cugini Giuseppe Fortuna alias Il Ragioniere e Francesco Fortuna elemento di spicco del clan Bonavota. Da quel momento – spiega Mantella - inizia a costruire sul territorio di Ionadi, Pizzo, Vibo Valentia. La sua attività imprenditoriale con il sostegno dei Bonavota è cresciuta a dismisura. La Sud Edilferro di Costantino Foti è un’altra ditta funzionale ai fratelli Fortuna, di conseguenza al clan Bonavota di Sant’Onofrio. Giuseppe Fortuna, il Ragioniere, aveva il compito di ingegnarsi per far lievitare gli incassi della cosca Bonavota.

E ci riusciva. Personalmente avevo competenza territoriale sulla zona di Ionadi dove potevamo con il mio gruppo gestire in autonomia tutto, incluse estorsioni e messaggi intimidatori per gli imprenditori reticenti al racket che di solito si concretizzavano in bottiglie con liquido infiammabile e cartucce posizionati all’entrata delle ditte”.

L’arresto in ospedale durante il ricovero per il finto tumore

“Quando mi hanno trasferito nel carcere di Vibo Valentia – ricorda Mantella – ero ricoverato nell’ospedale di Tropea. Mi trovavo lì perché grazie al primario Tripodi, il quale era riuscito a far risultare sulla cartella clinica dei problemi oncologici inesistenti, ero stato autorizzato a spostarmi dalla clinica Villa Verde di Cosenza dove ero ristretto ai domiciliari.

Ho iniziato a collaborare con la giustizia nel maggio 2016. Sarei uscito nel giugno 2016 e mi avevano già comunicato che i fratelli Bonavota mi avrebbero aspettato nel parcheggio del carcere di Spoleto per accompagnarmi in Calabria e festeggiare insieme. Durante la detenzione ho ricevuto continuo sostegno economico da Francesco Fortuna e dalla famiglia Bonavota. Per 5 anni ho percepito più la vicinanza dei Bonavota che della mia ex moglie che comunque incassava il loro denaro per provvedere alle proprie spese. Mi hanno pagato medici, avvocati e corruttele. Spendevano per me circa 4.000 euro al mese. I giudici onesti che mi rigettavano le istanze di scarcerazione però non erano corruttibili e avevano capito che non ero davvero malato.

Nonostante avessi unto il ‘sistema’ non sono riuscito a uscire”.

L’avvocato dei pizzini: 'Solo calunnie, mai portato caramelle in carcere'

Dichiarazioni spontanee sono state oggi rese in aula dall’avvocato Francesco Stilo imputato nel processo con l’accusa di corruzione, rivelazione di segreto istruttorio e concorso esterno in associazione mafiosa. “Il quadro è allarmante” ha esordito Stilo. “Sto per morire, non ho paura di niente e nessuno. Rischio una condanna a 30 anni di reclusione – sostiene Stilo – devo difendermi dalle affermazioni rese dal collaboratore di giustizia Andrea Mantella e riportate dalla stampa. Nelle scorse udienze ha detto che io portavo pizzini, medicinali, telefonini in carcere e aprivo attività commerciali per conto dei Mancuso.

Le mie sventure sono nate da quando ho difeso Antonio Mancuso nel processo Black Money. Sono stato neutro, libero, senza legami con la massoneria, mi sono scontrato con tutti gli avvocati di quel collegio difensivo per difendere il mio cliente e sono stato arrestato. Le affermazioni di Mantella stridano con la realtà visto che dal 2003 al 2018 Antonio Mancuso era detenuto e non ho mai avuto rapporti diretti con lui se non in carcere durante i colloqui. Il 10 ottobre del 2016 nel processo Black Money pongo delle domande ad Andrea Mantella in qualità di difensore di Antonio Mancuso. Il pm Marisa Manzini quel giorno ha allegato agli atti un verbale integrativo in cui si parlava di alcuni avvocati (preciso che non c’era il mio nome) indagati.

Non troverete neanche un documento nel quale io mi sono prestato ad attività diverse da quelle dell’avvocatura. In quella famosa udienza in merito all’omicidio di Roberto Soriano il collaboratore Mantella accusò Rosario Fiarè e Saverio Razionale, introducendo la questione dei pizzini scambiati tra boss attraverso avvocati compiacenti che facevano entrare e uscire dai penitenziari questi foglietti. Chiesi a Mantella durante l’udienza maggiori chiarimenti e successe un pandemonio. Venimmo minacciati, il collaboratore prima disse che a Natale non ci arrivavamo perché ci arrestavano tutti e che non aveva problemi a venire a Vibo Valentia e prenderci per strada (rivolgendosi a un avvocato e a un imputato). Il procuratore Gratteri intervenne perché Pantaleone Mancuso offese Mantella dandogli del caprone. Consegnerò voi il verbale di quella giornata. Chiesi al collaboratore Mantella in udienza se frequentava Razionale Saverio o Fiarè Rosario e mi disse che aveva dei rapporti anche con Antonio Mancuso, ma non sapeva se aveva dal 2008 commesso illeciti. Anzi, tre giorni dopo dice che Mancuso non aveva nulla a vedere con l’omicidio di Roberto Soriano. In seguito si è passato in rassegna il tentato omicidio di Roberto Piccolo dicendo che i mandanti erano Carmelo Lo Bianco e Antonio Mancuso. Però a domanda secca cambia risposta e afferma il mandante era solo Carmelo Lo Bianco. Qualche giorno fa qui a Lamezia Terme diceva invece che avevo portato telefonino, medicine e pizzini a Leone Soriano nel carcere di Cosenza, ma è impossibile perché nel carcere di Cosenza vi è il piantone dietro il vetro durante i colloqui con gli avvocati. In più Mantella dice di aver fatto uscire attraverso Leone Soriano delle informazioni pur essendo ospitati in due sezioni diverse, è inverosimile perché ci sono telecamere in chiesa, agenti penitenziari nel corridoio, se si parla si viene segnalati e non esiste nessuna segnalazione per comunicazioni tra Soriano e Mantella. Non si riesce a scambiare nulla, né oggetti tantomeno ordini omicidiari. Quale logica può avere l’affermazione di Mantella della confidenza ricevuta da Roberto Piccolo del fatto che disponeva di un telefonino, dopo che era stato proprio lui l’autore del suo tentato omicidio? Nel 2018 divento difensore di Piccolo e mi precisa di non volere alcun rapporto con Mantella perché aveva attentato alla sua vita. C’è anche una sentenza che lo conferma. Il gip mi ha attribuito di essere il portatore di caramelle con pizzini e compresse medicinali perché lo dice Mantella, ma dimentica che queste cose non le ho mai portatate a nessuno, non ne esiste alcuna prova, nessun riscontro. Il collaboratore parla dei rapporti tra me e il mio cliente Saverio Razionale dicendo che nel 2005/2007 avrei contribuito al complotto per far uscire dal carcere Claudio Fiumara, solo che in quel periodo non ero il suo difensore, ma l’avvocato Torchia. Peraltro Razionale nel 2005 e 2006 era latitante. Mantella dice che io porto messaggi a Mancuso, Paolo Lo Bianco (che inizio a difendere solo nel 2011), Claudio e Danilo Fiumara (che non ho mai difeso). Sostiene che io volessi aprire una sala giochi con Barba con il consenso dei Mancuso. Faccio presente che il mio primo rapporto professionale Antonio Mancuso risale ad anni e anni dopo quando era in carcere e non potevo parlargli, Pantaleone Mancuso detto Vetrinetta invece è uscito nel 2012 così come con Giuseppe Mancuso imputato eccellente in Black Money poi assolto e che comunque non conoscevo. Anzi. Nel 2013 mi chiamò a colloquio per conferirmi l’incarico nel carcere di Asti e non andai. Poi se Mantella odia i Mancuso come fa a dire che io porto i biglietti in carcere ai loro sodali? Mantella parla di avvocati e magistrati corrotti a piede libero, ma è ritenuto attendibile solo per quanto riguarda la mia posizione. L’anomalia di questo processo è inquietante”.