Per anni ha custodito dentro di sé un dolore muto, una ferita profonda che non ha trovato spazio né voce. Oggi, Klara – ex suora slovena – ha deciso di raccontare la sua verità. La testimonianza raccolta da Roberta Rei e Marco Occhipinti per Le Iene Show andrà in onda stasera martedì 25 marzo (in onda dalle ore 21:20 su Italia 1), e riaccenderà i riflettori su uno dei casi più controversi e inquietanti degli ultimi anni: le accuse contro padre Marko Ivan Rupnik, sacerdote gesuita, artista di fama mondiale e figura carismatica della Chiesa cattolica.

Il racconto di Klara su Padre Rupnik in anteprima

Klara ripercorre gli inizi della sua vicenda, risalenti al 1980, quando aveva appena 16 anni. Era tirocinante in una clinica a Lubiana, dove Rupnik era ricoverato. Fu lui a cercarla, ad avvicinarla con il pretesto di un gruppo giovanile legato ai gesuiti. “Lui sapeva dove colpire,” racconta Klara, “conosceva le fragilità. Io non avevo mai ricevuto tenerezza paterna. Lui si è presentato come un salvatore.”

Quella figura autorevole, paterna, spirituale, si trasformò presto – secondo il racconto della donna – in qualcosa di ben diverso. Già dai primi tempi, le dimostrazioni di affetto fisico da parte di Rupnik cominciarono a superare il confine del concesso.

Un abbraccio prolungato, un bacio inatteso: “Mi disse ‘questo lo faccio solo per te’. Io rimasi confusa, scossa.”

Dopo otto anni, Klara scelse di prendere i voti e di entrare nella comunità Loyola in Slovenia, fondata proprio da Rupnik. Una decisione che, spiega, prese anche per paura, dopo che lui la rimproverò con durezza per aver preso in considerazione una proposta di matrimonio: “Mi fece capire che, se non sceglievo la comunità, non sceglievo Cristo.

Mi sentii costretta.”

Secondo il suo racconto, fu in quell’ambito che iniziarono abusi più espliciti. In un appartamento condiviso con un’altra sorella, Klara racconta un episodio scioccante: “Quando lei non c’era, lui venne. Mi parlò con dolcezza, poi si spogliò e cominciò a masturbarsi davanti a me. Mi spinse la testa verso il basso, voleva sesso orale.

Non mi ero mai nemmeno avvicinata a esperienze simili. Ero chiusa, impreparata, sconvolta.”

Le richieste spinte, il linguaggio sessuale disturbante, le allusioni a rapporti a tre: Klara parla di un disegno più ampio, di un sistema di manipolazione che coinvolgeva altre donne. Racconta di essere stata inviata in Puglia, dove una donna – apparentemente incaricata di “prepararla” – le fece una proposta agghiacciante: “Ti immagini bere da un calice pieno dello sperma di padre Marko?”. Quando Klara si mostrò disgustata, fu tagliata fuori.

“Un abusatore manipolatore”, così lo definisce oggi. “Sapeva gestire tutto, sul piano fisico, psicologico, spirituale. Prendeva quello che voleva, quando voleva.

E poi faceva finta di niente”. Anche quando lei trovò il coraggio di affrontarlo, padre Rupnik negò tutto: “Non so di cosa stai parlando”, le rispose. Una cancellazione brutale della realtà, della sua esperienza, del trauma subito.

Ma Klara non è sola: “Conosco almeno dieci donne che hanno vissuto esperienze simili. Tutte nella stessa comunità:

Il racconto del Cardinale Angelo De Donatis e don Milan Zust

Mentre le denunce si accumulavano, padre Rupnik e la sua comunità hanno ottenuto l’assegnazione di un convento femminile, decisione firmata dall’ex Cardinale vicario Angelo De Donatis. Una scelta che solleva molte domande: era davvero opportuno affidare un convento di suore a un uomo sotto inchiesta per abusi proprio su religiose?

L'inviata Roberta Rei ha cercato risposte direttamente al Centro Aletti di Roma, sede della comunità. Lì ha incontrato don Milan Zust, ex gesuita e superiore di Rupnik. Alle domande incalzanti dell’inviata, Zust ha risposto con chiusure, minacce di chiamare la polizia e infine un silenzio imbarazzato. Alla domanda su cosa debbano fare le vittime di abusi nella Chiesa, non ha avuto risposta. “Aspettiamo il giudizio del Vaticano,” ha ripetuto. Ma quanti anni devono ancora passare?

Anche il Cardinale De Donatis ha evitato il confronto diretto. Alla domanda se la Chiesa non debba dare una risposta chiara a distanza di cinque anni dalla scomunica – poi revocata – ha replicato: “Penso che lo farà, la verità si fa strada come una fiammella”.