Il caso vuole che la fortuna di riscoprire un grande scrittore del passato a distanza di molti anni sia un trend in crescita esponenziale: tra quelli che ho recentemente apprezzato cito Michail Bulgakov (morto nel 1940 e pubblicato nel 1967) e John Williams con "Stoner", pubblicato una prima volta nel 1965 ma il cui successo ha tardato circa quarant'anni. Eppure nessuno ha mai avuto un successo quasi postumo così eclatante quanto John Fante (1909-1983).

L'ultima edizione del Festival delle Letterature di Roma, che ha chiuso i battenti lo scorso 1° luglio, ha dedicato una serata (30 giugno) al ricordo del grande scrittore italo-americano, originario di Torricella Peligna.

L'occasione è stata la premiazione dei vincitori del concorso "Il Dio di mio padre", organizzato dal piccolo comune abruzzese, per cui la Casa delle Letterature di Roma ha aperto il suo giardino interno per un reading sfrenato dei passi più belli dei successi fantiani: "Chiedi alla polvere", "Il mio cane stupido", "Aspetta primavera, Bandini" e tanti altri.

La premiazione è stata preceduta da un momento di discussione che ha visto per protagonisti quattro grandi figure del panorama letterario italiano: Emanuele Trevi, eclettico critico e scrittore romano, Sandro Veronesi e Leonardo Colombati, autori famosi e grandi amanti di John Fante, più il traduttore italiano ufficiale di Fante, Francesco Durante.

Leonardo Colombati ha esordito parlando del suo amore casuale per lo scrittore italo-americano, grazie a una felice intuizione della moglie che gli regalò un libro di cui nessuno, se non i cultori della letteratura, aveva mai sentito parlare. Quel libro era, come si può immaginare, "Chiedi alla polvere" e la storia di Arturo Bandini, aspirante scrittore senza alcuna possibilità di emergere e dal desiderio di successo immediato, gli entrò nel sangue e lo spinse a leggere le opere edite in italiano di John Fante fino a quel momento.

Colombati, che in autunno pubblicherà un nuovo romanzo, è riuscito nell'impresa di rendere John Fante un personaggio di un suo libro. Il romanzo di Colombati sarà ambientato nella Capitale, nell'anno delle Olimpiadi (1960), ovvero l'anno dell'unico viaggio a Roma di Fante (agosto - settembre 1960) per un colloquio con Dino De Laurentiis.

Chissà cosa ne penseranno i fantiani d.o.c.: emozione o sacrilegio per aver "romanzato" la vita di uno scrittore molto amato?

Di sicuro, l'ultima parte della vita di Fante assomiglia moltissimo agli ultimi anni di un altro grande scrittore del passato: Francis Scott Fitzgerald, che per pagare i debiti e sentirsi ancora vivo cominciò a scrivere sceneggiature e a collaborare con l'industria cinematografica hollywoodiana. Anche Fante vendette parte della sua anima alla sceneggiatura cinematografica, senza grande successo. Il consiglio dei tre scrittori italiani presenti alla tavola rotonda è unanime: scrittori, lasciate perdere il cinema, non collaborare alla stesura cinematografica delle vostre opere, perché letteratura e cinema, pur interscambiandosi spesso e volentieri, sono due mondi separati.

Lasciate scrivere le sceneggiature dei vostri Libri a chi lo sa fare bene (ma non vi aspettate che siano fedeli al vostro romanzo).

Emanuele Trevi ha descritto l'opera di Fante come una vera scuola di scrittura: John Fante, infatti, scrive nel 1938 il primo capitolo della saga di Arturo Bandini ("La strada per Los Angeles") ed è un fallimento; l'anno dopo pubblica il suo capolavoro ("Chiedi alla polvere"), ma il libro passa sotto silenzio; qualche anno più tardi pubblica il terzo capitolo ("Aspetta primavera, Bandini"), non un granché, ed è finalmente baciato dalla sorte e dal successo. A questo punto gli viene ripubblicato tutto il lavoro precedente ed è ormai un mito. Poi, però, decide di non scrivere e pubblicare più niente e riappare, dopo un lunghissimo silenzio, negli anni Sessanta.

Fante ha sperimentato il percorso di uno scrittore dal nulla al tutto e poi di nuovo al nulla: altro che scuola Holden! C'è del polemico nelle parole di Trevi, ma è anche vero che la tenacia di Fante e il suo modo di essere scrittore sono distanti anni luce da ciò che uno immagina sia il vivere di letteratura ai giorni nostri.

Sandro Veronesi, che è stato uno dei primi a riscoprire Fante quando ancora lavorava per Fazi, è rimasto fedele alla sua idea di scrittore "ormonale" per definire l'opera dell'autore di "Chiedi alla polvere". Fante ribolle di un vissuto storico, una tradizione da emigrante e una sana voglia di letteratura che lo hanno spinto a scrivere di getto tutto quello che era stato il suo mondo, soprattutto il suo rapporto di amore-odio con la figura paterna.

La trasposizione in Arturo Bandini non è però da accostare al Nick Adams di Hemingway. Bandini vive di vita propria e Fante lo ha semplicemente caricato dei suoi "ormoni", rendendolo un personaggio mitico e, per questo, vincente e indimenticabile.

Infine, dalle parole di Francesco Durante, la bomba: ci sarebbe ancora un inedito fantiano da pubblicare, un libro politicamente scorretto per l'epoca in cui si presume sia stato scritto (fine anni Quaranta). Un libro che, a quanto detto dal traduttore italiano di Fante, avrebbe come protagonista un nero africano, invischiato in questioni politiche, e per di più omosessuale, intriso delle tipiche caratteristiche di un personaggio fantiano: esagerato, tragico, comico.

È evidente che un'opera come questa era assolutamente fuori dalla grazia di Dio e da ogni canone di correttezza e pubblicabilità nei terribili anni Cinquanta americani (come non ricordare la trama del bel film di George Clooney del 2005 "Good night and good luck"?). Attendiamo, con trepidazione, il nuovissimo inedito di John Fante, lo scrittore che non muore mai.