Esistono anniversari belli e meno belli. In genere, quando si parla di rock, gli anniversari non sono affatto male perché riportano alla memoria un presente che si cerca di non perdere mai, anche a discapito della modernità. Certo è che nel tempo i gusti cambiano, le mode evolvono e i pupi crescono; per fortuna però almeno certi miti restano, anche e soprattutto oggi, che si fagocita (e si dimentica) tutto a tempo di download.
Mercurio e opera rock
Ecco perché a contare in questi giorni le candeline su uno dei capolavori dei Queen (e dell’intero baraccone musicale, ora come non mai costretto a monetizzare il suo passato causa mancanza di materia prima attuale di paragonabile qualità), non può che far piacere: 40 anni esatti dall’entrata in studio per registrare ‘A Night at the Opera’ con la celeberrima, vendutissima, amatissima e complicatissima ‘Bohemian Rapsody’, caposaldo di quell’opera rock che Freddie Mercury aveva in testa – lui, patito di lirica e melodramma – fin dai tempi del college.
È naturale pure che si cercasse di approfittare dell’evento pubblicando un cofanetto deluxe celebrativo con 18 dischi in vinile della band completamente rimasterizzati e completo di un raro booklet di più di 100 pagine (previsto per fine settembre). Manna sicura per i fan, orfani mai domi dell’ugola di Mercury ma mai gratificati delle continue rivisitazioni live che il chitarrista Brian May e (a volte) il batterista Roger Taylor cercano di spingere per nuovi tour mondiali (il bassista John Deacon ha da anni deciso di rimanere dietro le quinte: senza Freddie i Queen non sarebbero stati più gli stessi e lo ha capito al volo).
Tempi record
Appena quattro mesi di lavoro in studio (dal 26 agosto al 21 novembre 1975, giorno della pubblicazione, trascorrono appena 120 giorni: se non è record poco ci manca) per il quarto album della band: una bazzecola se si considera la mole di sperimentazione di cui tutto il lavoro risuona.
Solo la ‘rapsodia boema’, più di sei minuti di brano che per la sua lunghezza si pensava non potesse sfondare mai, si completò infatti di ben 180 tracce complete di rivisitazioni operistiche, da Mozart a Rossini e non solo. Più quella avanguardia tecnica e di arrangiamento dalle tinte prog, electro e classica che però rimase a metà, nel senso che l’intento della band (soprattutto di May) era di far uscire un album doppio, completo anche di quello che poi sarà il lavoro successivo, ‘A Day at the Races’, pubblicato un anno dopo: la EMI per contenere i costi (‘A Night at the Opera’ resta uno dei dischi più costosi di sempre) e per permettere al mercato di assuefarsi a tanta novità non rischiò il tutto per tutto.
Ma i circa 300 milioni di copie vendute da tutti i dischi dei Queen stanno a testimoniare che il tutto per tutto, a volte, si può (e si deve) rischiare: ‘Bohemian Rapsody’ spalancò le porte anche alla sperimentazione video che nei videoclip musicali di oggi è fondamentale per promuovere un singolo, Freddie Mercury è sempre più in quel girone degli dei del rock a lui tanto congeniale e dei Queen non si smetterà tanto facilmente di parlare.
Perché lo spettacolo (coi suoi incassi) continua, e di certo non ci si può fermare adesso. Anche i fratelli Marx ad Hollywood la pensavano così, d’altronde: i loro ‘A Night at the Opera’ (1935) e ‘A Day at the Races’ (1937) sono divenuti titoli cardine della storia del rock. A quando un anniversario cine-glam-rock anche per loro?