Che la Marvel - Disney e la DC - Warner abbiano ormai puntato tutto sulla spettacolarizzazione esasperata delle battaglie, infarcita di temi universali che dovrebbero toccare i cuori di tutti gli spettatori, è un fatto. Che la connessione emozionale si perda quasi subito, perché non c’è più spazio per indagare a fondo cosa accade dentro la testa dei supereroi contemporanei, è un fatto ancora più palese. Per questo il film Doctor Strange stupisce doppiamente: non solo un parterre di attori stellare che viene impiegato al meglio, ma anche una trama semplice di caduta e risalita dall’abisso di un uomo che credeva di avere il mondo in mano.
E sono proprio le sue mani tremanti a lasciare quella presa.
La trama in breve
Stephen Strange - interpretato da Benedict Cumberbatch - è un neurochirurgo di chiara fama: affascinante, dalla memoria prodigiosa, accetta solo quei casi che possano accrescere la sua popolarità. Le sue mani, abilissime, salvano anche le vite appese a un filo e sono il suo più grande vanto. Ha un bell’appartamento e un’auto costosa, che guida con molta spericolatezza. Troppa. È per questo che, in una notte di pioggia, perde il controllo del suo mezzo e finisce coinvolto in un incidente quasi mortale. Il verdetto, al risveglio, è devastante: nervi lacerati, una ricostruzione che gli lascia le mani tremanti e gli impedisce di continuare nel suo amato lavoro.
È la discesa verso un abisso di depressione, che lo allontana dai suoi colleghi e da Christine – collega, amica, ex-amante – che lo pianta in asso dopo l’ennesima ingiusta sfuriata. Poi l’incontro con un uomo, guarito da un’incurabile paralisi, cambia tutto: Stephen, pochi soldi in tasca e un amato orologio al polso, parte per Katmandu alla ricerca di Kamar-Taj.
Ed è lì, al cospetto dell’Antico, che sarà costretto a mettere da parte tutta la sua arroganza e ricominciare a guardare le cose da una nuova prospettiva. Il mondo – anzi, i mondi – è molto più complesso di quello che ha sempre creduto.
Ferite inguaribili
Doctor Strange è qualcosa di più della classica storia della lotta fra il Bene e il Male.
Anzi, il cattivo nominale della storia finisce molto sullo sfondo – è forse questa l’unica vera pecca, un Mads Mikkelsen che si vede poco ma sa offrire comunque una performance affilatissima – ma la trama ha il merito di esplorare altro. È la psiche di Stephen e il suo sofferto lavoro di recupero, alla ricerca di un nuovo equilibrio, a essere il centro nodale di questa storia.
Tutt’attorno una serie di comprimari eccellenti: da Christine Palmer, che nella sua umanità sa offrire il sostegno di un’amica e lo scetticismo di un medico che fronteggia l’incontro con la magia con esiti spesso divertenti; all’Antico – una Tilda Swinton letale e trascendentale – personaggio troppo sfuggente per essere incasellato sotto una categoria certa; a Mordo, che offre la chiave di lettura più forte del film.
Gli estremismi sono banditi, ci sono compromessi a cui piegarsi, se si vuole salvare il mondo e continuare a vivere, e ci sarà un prezzo da pagare, per aver violato le regole.
Nel mezzo paesaggi di pura psichedelia, giochi di prospettive impossibili e universi che si schiudono come il frutto di un trip allucinante, conferiscono a questo viaggio dentro e fuori dal mondo un colore mistico e supereroico assieme, che fa di Doctor Strange qualcosa di nuovo, più scorrevole e godibile delle trame troppo ingolfate e pretenziose degli ultimi cinecomic visti in sala. Un’ottima sorpresa.