Dopo il successo de “Il suonatore di pietre (GoWare, 2016)” un noir che aveva al centro il prof. Sandro, musicista in cerca di umanità, il narratore partenopeo Sergio Saggese ritorna con un libro affatto diverso: “Il cielo addosso (pagg. 192, euro 12.90)” per le edizioni napoletane Iemme, curato dall’ottimo editor Antonello De Simone, che è un altro esempio di intellettuale che lascia Napoli; dopo questo lavoro infatti si trasferirà a Milano per curare una collana di saggistica. Trentuno racconti uniti da un collante narrativo che Saggese dichiara in un aforisma-poesia che pone in esergo alla narrazione: ci sono persone che devono puntellare il cielo facendosi carico della mostruosa collettività, che noi leggiamo nell’individualismo folle di questi tempi senza più un’idea condivisa di assoluto.

La lingua invece è la stessa dell’ultimo Saggese: pulita, poetica ma senza concessioni al preziosismo così come ne “Il grido del gatto (Boopen)” e nei “Racconti azzimi (Compagnia dei trovatori)”, che in un primo tempo potevano fare pensare ad un replay di genere. Figli che hanno come meta la madre che cerca in altri uomini senso per la dipartita del marito, perché, forse, “si ama morendo: l’amore è un trauma gentile che fa procedere la gentilezza al trauma (“Una notte”)”. Prostitute devote di una madre cenciosa che cambiano il proprio nome in omaggio a personaggi sartriani (“Zezzette”)”.

C’è una voglia di maternità altro comune denominatore delle storie di persone che sottendono il cielo: come in “Ofelia” che narra la storia di Caterina orfana che cerca nelle tragedie letterarie nuove identità.

Ma anche – in “Quel giorno” la ricostruzione di un passato – e di un destino fattosi presente – nella visione postdatata di una fototessera fatta da due ex amanti a Via Caracciolo. L’impressione è che Saggese parta da un particolare: che è sempre frutto prezioso dell’attività poetica e che dal dettaglio ricostruisca come un orologiaio al contrario la trama narrativa dei suoi sogni.

Abbiamo sempre pensato per questo materializzarsi istantaneo di immagini, Saggese, parente nell’asse ereditario ad Erri De Luca, ma in questa ultima sua raccolta ci sembra di scorgere in quel suo “reclamo il diritto di dividere con loro: alloggio, vitto e destino” , il Giovanni Arpino di “Sei stato felice Giovanni” che cercava la sua casa “nelle fave e negli amici”. Nel racconto eponimo che dà il titolo alla raccolta troviamo forse in Tullio Morani e nel suo sogno kafkiano la cifra dei racconti: “sentiva con tutto il suo non peso, il peso del cielo addosso”.