Dal momento in cui è apparso il nuovo spot di 2 minuti e mezzo di Pepsi con Kendall Jenner, la risposta del web non si è fatta attendere.
Stando ai dati di Amobee Brand Intelligence, dopo lo spot, il livello di interesse verso Pepsi è aumentato vertiginosamente del 366% in un solo giorno, di cui circa un 70% ha manifestato in maniera grossomodo negativa. Cos'è successo? Come ha fatto Pepsi a fare flop e che cosa può imparare il marchio da questa debacle?
“Pepsi avrebbe dovuto consultare le persone che sono effettivamente state in prima linea nelle proteste di questi ultimi anni”, ha spiegato la scrittrice, operatrice sociale e attivista Feminista Jones.
“Gli organizzatori, i manifestanti, gli educatori...tutti coloro che hanno svolto un ruolo fondamentale nell'innalzare questi movimenti recenti per la giustizia. I marchi non dovrebbero mai fare luce sulle problematiche sociali legate alla sofferenza delle persone; essi dovrebbero, invece, concentrarsi sulla vendita dei loro prodotti in modi che non sfruttino il dolore e la sofferenza delle persone emarginate”.
L'azienda del soft drink ha ritirato la campagna e si è scusata in un comunicato. Persino Bernice King, la figlia di Martin Luther King, ha scritto sul suo profilo Twitter: "Se solo Papà avesse saputo del potere della Pepsi" chiarendo il suo pensiero a riguardo. La campagna pubblicitaria era stata realizzata dalla Creators League Studio, azienda interna a Pepsi, che da anni si occupa della comunicazione, ma che questa volta ha fatto discutere per diversi motivi.
Lo spot pubblicitario mostra Kendall che, assieme ad altri ragazzi, si unisce a un corteo ricco di cartelli di pace-amore-w i gay e riesce a mettere pace tra manifestanti e polizia usando la ben nota lattina blu come simbolo di unione. Il poliziotto si disseta anche se non è Coca Cola e tutti festeggiano come fossero a uno dei più bei concerti di Springsteen.
Per la Pepsi non è propriamente una novità, fece qualcosa di simile già nel 1992 con Cindy Crawford nello spot per il Super Bowl, ma in quella di cui si parla oggi tante cose non tornano.
In primis, lo spot ha cercato di cavalcare l’onda sbagliata: l’attivismo, in un momento storico in cui le lotte civili e le contestazioni stanno avendo grande rilevanza sull’attuale politica.
In questo contesto, Pepsi ha – inconsciamente – sminuito e svilito l’attivismo politico mostrando eccessiva superficialità: i ragazzi nello spot distratti dal corteo vi si buttano in mezzo senza chiedersi perché o per come. Pare che nessuno di coloro che ha montato la pubblicità, sappia di cosa stia parlando ed è palese.
A risentirne è proprio la verosomiglianza, stacchi e sequenze appaiono sbagliati, tagliano in modo netto la credibilità che lo spot avrebbe potuto avere, facendo apparire il tutto come un concentrato di banalità, puerilità e insensatezza. Neppure in Italia si poteva fare di peggio.
La modella Kendall Jenner, che figura fra le persone più seguite di Instagram con quasi 78 milioni di follower, si sta facendo attendere.
La rete pretende scuse dalla protagonista dello spot che tardano ad arrivare. Sui suoi social account non appare nulla al 3 aprile, ma c’è un’attenzione morbosa per la presumibile risposta di scuse che non può tardare oltre.
Sceglierà Twitter per una manciata di caratteri di scuse oppure Instagram per postare ancora una foto con la sua amata Pepsi per tentare di parlare alla pancia dei suoi fan spiegando quanto tutto questo sia stato inconsapevole. Ah, la Pepsi fa fare proprio brutte cose.
Pepsi voleva catturare lo spirito e le azioni di quelle persone pronte a immergersi per sentirsi vivi, uniti e dire la propria. Voleva persino tributare l'immagine vincitrice del World Press Photo in cui Iesha Evans avanza verso la polizia offrendo le proprie mani per l'arresto davanti a un poliziotto durante le proteste di Baton Rouge a Los Angeles.
Invece, lo spot è stata considerato, in modo congiunto dalla rete, fuori luogo: non si può speculare così sul malcontento di una nazione, diritti civili e scopi commerciali non possono andare a braccetto in alcun modo.
Ridateci lo spot iconico con Michael Jackson, quello sì che è pace.