Venticinque anni. Tanti ne sono serviti a Christopher Nolan per concepire "Dunkirk" e prepararsi a girarlo, lavorando ad altre grandi produzioni per capire come gestire una pellicola che si presentava epica già solo per la tematica trattata. Con queste premesse, e con l'eco entusiasta della critica d’oltreoceano, "Dunkirk" è uscito negli Stati Uniti il 21 luglio scorso, e le aspettative per chi si è recato nelle sale cinematografiche, non potevano che essere altissime.

Se a tutto ciò si aggiunge un cast di attori di altissimo livello - da Kenneth Branagh a Tom Hardy, passando per Cillian Murphy - con l’aggiunta di nuove promesse (come l’ex One Direction Harry Styles) che hanno rivelato un inatteso talento attoriale, è difficile pensare che il risultato finale possa essere meno che eccelso.

Il film che Nolan ha confezionato è, in effetti, un lavoro di altissimo livello tecnico, curato sotto ogni aspetto, anche e soprattutto sotto il profilo storico. Quello che ci si trova a seguire, però, non è soltanto un buon prodotto cinematografico, ma molto di più. "Dunkirk" non è semplicemente un film di guerra: di certo non assomiglia a nessuna delle pellicole di questo genere realizzate negli ultimi anni.

La trama

Una settimana, un giorno, un’ora: terra, mare e cielo, queste sono le tre prospettive, fisiche e temporali, da cui viene raccontato il film "Dunkirk". Sulla terra c’è il molo di Dunkerque da difendere, per permettere alle navi britanniche di attraccare e portare via i soldati. È da qui che prende le mosse il film, da Tommy, giovanissimo militare che perde i compagni di brigata e finisce per vagare da solo sulla spiaggia.

Qui incontra un altro soldato, Gibson, e dopo un attacco dei cacciabombardieri tedeschi, i due porteranno insieme la barella di un ferito fino ad una nave inglese che sta per lasciare Dunkerque. L'imbarcazione, però, viene affondata, e Gibson e Tommy si ritrovano a salvare Alex, uno dei soldati che stavano per salpare alla volta delle coste britanniche.

Contemporaneamente - nel montaggio del film ma non nel tempo storico - sulle coste britanniche la Marina sta requisendo le imbarcazioni civili per usarle allo scopo di imbarcare il maggior numero di soldati - le stime del Governo parlano di non più di trentamila militari - e portarli via da Dunkerque. È da Weymouth che parte il signor Dawson, alla guida della sua Moonstone, accompagnato dal figlio Peter e dal suo amico George.

Sulla rotta per Dunkerque, si ritrovano a salvare un soldato, pesantemente traumatizzato dai bombardamenti che hanno affondato la nave con cui era salpato dalle coste francesi, e che cercherà di dissuadere Dawson dal proseguire verso la città francese, per non andare incontro ad una morte certa.

Nell’aria, frattanto - o piuttosto, appena un’ora prima dell’evacuazione completa - tre Spitfire guidati da Fortis Leader si dirigono verso le coste di Dunkerque per abbattere i cacciabombardieri che continuano ad affondare le navi britanniche e a colpire i soldati stessi, precariamente ammassati sulle spiagge e sul piccolo molo. Fortis Leader viene presto abbattuto, e i due piloti Collins e Farrier devono proseguire da soli verso la cittadina transalpina.

La strada è lunga e, nonostante l'indicatore del carburante sia rotto, Farrier decide di continuare a cercare di fare il possibile per coprire la ritirata dell’esercito britannico sulle piccole imbarcazioni civili che stanno arrivando proprio in quegli istanti.

Il logorante suono della guerra

C’è un incessante ticchettio che accompagna tutti gli eventi di "Dunkirk", che non abbandona mai lo spettatore fino ad un minuto dalla fine: è la registrazione di un orologio da tasca di Nolan particolarmente rumoroso, che il regista ha chiesto ad Hans Zimmer di inserire come parte integrante della colonna sonora del film. E se il famoso compositore ha affermato che questa pellicola è l’opera di un uomo solo e che persino lui si è sentito costantemente guidato e condizionato dalla visione di Christopher Nolan, c’è da credergli.

Il numero di particolarità tecniche e stilistiche per cui l'opera si segnala è impressionante, dopotutto.

Le musiche, prima di tutto, o la loro inconsistenza, per essere più precisi. "Dunkirk" è un film di guerra nel senso più vero e meno hollywoodiano possibile, quasi un documentario, ed è per questo che i rumori la fanno da padroni, sovrastando musiche e dialoghi, scarni e quasi assenti. Fin dal primo sparo che colpisce i timpani dello spettatore, ogni rumore del lungometraggio - dalle onde che si infrangono sulla battigia alle bombe che cadono dal cielo, fino agli spari dei fucili e alle urla dei soldati - risuona con una forza che li rende tanto assordanti quanto incredibilmente realistici.

Seguendo i passi dei soldati

La colonna sonora è solo una delle variabili che immergono totalmente lo spettatore nell’avventura dei quasi quattrocentomila soldati britannici ammassati sulle spiagge di Dunkerque. Ogni inquadratura segue i protagonisti dal basso, correndo assieme a loro, infilandosi negli anfratti più scuri delle navi che affondano sotto i colpi dei bombardieri tedeschi, incastrandosi negli asfittici abitacoli degli Spitfire che devono proteggere la ritirata delle piccole barche civili, giunte a prestare soccorso all'esercito britannico bloccato oltre la Manica. Non ci sono scene altisonanti di generali chiusi nei loro uffici a muovere pedine sulla mappa per una precisa scelta stilistica di Nolan, che ha voluto creare quella che, per sua stessa ammissione, è una "epica intima", un racconto grandioso di una schiacciante disfatta, attraverso il personalissimo punto di vista frammentato di chi - in cielo, in mare o sulla spiaggia - si è trovato coinvolto in prima persona in quegli eventi.

E "Dunkirk" non è solo un film sorprendente e innovativo sotto l'aspetto tecnico e stilistico. C’è un’anima potente in questo lavoro che racconta una disfatta, una storia la cui unica, vera trama è la lotta per la sopravvivenza di centinaia di migliaia di uomini. Non interessa sapere i loro nomi e le loro storie personali, cosa li ha portati lì e perché combattono contro i tedeschi - che restano un nemico invisibile per tutta la durata della pellicola - ma piuttosto inquadrare quel momento di terrore e sbandamento in cui la fuga è l’unica possibilità di salvezza. E Nolan riesce benissimo nel far immedesimare gli spettatori in quel clima di tensione, nella sensazione di un attacco imminente che può solo causare più morti e da cui sembra non esserci scampo.

Tutta la trama è intrecciata su tre piani temporali differenti - una settimana sulla spiaggia, un giorno per mare e un’ora in cielo - che si incontrano in momenti diversi e offrono allo spettatore un crescendo costante di ansia e di aspettative, che fino all’ultimo minuto non si scarica mai completamente.

Esattamente come le musiche di Hans Zimmer si avvolgono attorno a questa salita costante, le azioni in cui sono coinvolti i personaggi crescono e decrescono allo stesso modo, senza mai dare allo spettatore un vero momento per riprendere fiato. Il risultato finale è un film emozionale, che lascia dietro di sé un’impronta fortissima: non è facile non restare scossi da questa visione, ed è forse anche per questo che "Dunkirk" è una pellicola di guerra diversa da quelle a cui eravamo abituati fino ad oggi.

Non c’è niente di trionfale o potente in quest'opera, solo una rappresentazione onesta ed emotivamente efficace di quanto sporco e sleale possa essere un conflitto, di come di fronte all'impellenza della morte, l’unico valore che resta sia quello della sopravvivenza. Che a volte, paradossalmente, può essere anche la più grande delle vittorie.