E’ in un periodo molto creativo lo scrittore partenopeo Francesco Mario Passaro che dopo l’uscita de “La città dei sangui (GoWare)” , storia di una famiglia che dai Vergini si irradia nel resto del mondo, torna ora con “Stanze segrete (pagg. 208, euro 14; Rogiosi editore)” , un thriller giudiziario che è il secondo titolo di questo genere dopo “Attesa di giudizio (Iris 4 edizioni)” , suo esordio nel mondo della narrativa di genere. Alfonso Maniscalco è un avvocato penalista napoletano che è in vacanza in Sicilia con la sua nuova compagna Francesca.

Una telefonata di Gigi Imbimbo, ingegnere e detective privato, lo catapulta in una Milano con cieli grigi e chiari e verbali corretti: il suo amico si trova invischiato nell’omicidio di un imprenditore, Achille Buonocore, che aveva incontrato in un club prive', il Dactylus, e che gli aveva anche chiesto protezione per una minaccia imminente di morte. Il thriller di Passaro si dipana quindi tra un presente di adempimenti giudiziari che portano Maniscalco ad un dibattimento per scoprire chi ha ucciso il Buonocore e flashback di un passato recente parigino dove il penalista aveva perso l’ex compagna Alice e la proxima sua Lulù. Mentre il suo amico regista Matteo Ferrante cerca il suo aiuto per terminare la sceneggiatura di un film rivelazione sull’Isis.

L’avvocato Alfonso combatte la buona battaglia del diritto nelle aule del tribunale meneghino mentre la carcerazione preventiva sfibra Imbimbo, cerca negli odori della compagna i fiori di Bach del suo nuovo equilibrio, ma ricerca ancora la magia perduta “nelle belle canzoni, nei libri letti a metà, nei formaggi puzzolenti, nelle lunghe attese”.

Perché quando Alice perse Lulù, “il silenzio del dolore si gonfiò attorno a me”. Altra ossessione è quella per l’Isis che aveva causato la morte di Alice ed essa non riusciva a stemperarsi nella competenza che acquisiva sui nuovi scenari mondiali causati dall’avanzata dello Stato Islamico. E, l’ossessione tutta professionale dell’attesa di giudizio, “quella sospensione temporale che conoscevo da tempo e che mi faceva perdere il senso dell’obiettività, inghiottendo ogni attimo della mia esistenza”?

Passaro esercita una lingua poeticamente umana e l’intelaiatura del legal thriller non riesce ad ingabbiare le sue fragili ricerche di senso in una realtà che deforma i passi, gli sguardi ed il presente orfano di chiarezze anteriori.