L’ottavo capitolo di Guerre Stellari, con le sue due ore e mezza, è il più lungo, regge benissimo la durata e gestisce con perizia tre storie e svariati personaggi che si incontrano tutti insieme nel gran finale. Alla regia Rian Johnson, che riesce a manovrare il costoso giocattolone. La nuova storia, proseguendo direttamente gli eventi accaduti nel settimo episodio, sa emozionare sia il fedele fan che il nuovo spettatore, in una miscela azzeccata tra citazionismo e nostalgia, tra strizzate d’occhio e sorprendenti colpi di scena. Se il rischio più grande era assistere ad un remake de "L’Impero colpisce ancora", Johnson spariglia le carte e, pur ispirandosi sia ad Episodio V che a VI, infila una serie di idee e di scostamenti narrativi generalmente riusciti, e che promettono di portare la terza trilogia verso una conclusione scoppiettante.

A fronte però della carne al fuoco preparata, resta un generale amaro in bocca per un episodio sì coinvolgente, ma fin troppo appeso e condizionato dagli eventi successivi. Si tratta delle generale deriva cinematografica, che prende a modello le serie televisive realizzando archi narrativi frammentati e spezzati in troppe opere.

L'ottavo capitolo di Star Wars

Il film segue le vicende di Luke Skywalker (Mark Hamill) e Rey (Daisy Ridley) isolati a riflettere sul destino dei Jedi, di Leia (la compianta Carrie Fisher) e Poe Dameron (Oscar Isaac) in fuga dal Primo Ordine, e di Finn (John Boyega) e la new – entry Rose (Kelly Marie Tran) coinvolti in una missione speciale. Tre storie che si incastrano con un efficace montaggio, per arrivare ad una ben orchestrata battaglia finale.

Su tutto troneggia il cattivo del film, Kylo Ren (Adam Driver), le cui titubanze nel ruolo di villain continuano però ad essere, sinceramente, poco credibili e non molto appassionanti. Era uno dei problemi dell’episodio precedente e, sinceramente, non assistiamo ad una maggiore coerenza in questo nuovo capitolo. Funzionano meglio Luke, ombroso e pessimista eroe condannato dalla sua aurea leggendaria, e Leia, la cui gravitas è funzionale allo sparuto manipolo di ribelli.

Rey resta bellissima, ma un po' monodimensionale, mentre gli altri sono poco più che figurette. Ad averci più colpito, però, è il personaggio interpretato da Laura Dern che, con la sua elegante grazia, riporta nella saga tematiche squisitamente politiche, che mancavano fin dalla trilogia dei prequel. Tematiche che compaiono, in maniera inaspettata, anche nell’uso del ladruncolo interpretato da Benicio del Toro: all’attore portoricano bastano pochi tratti, un’andatura traballante, un velo di balbuzie ed è subito magnetismo.

In una galassia squassata tra Forza e Lato Oscuro, abbiamo più tempo, per fortuna, per visitare luoghi nuovi e ben caratterizzati, come il gigantesco casinò di Canto Bight oppure l'affascinante pianeta di sale (g)rosso Crait: quest'ultimo permette un uso convincente del colore e sfrutta il paesaggio come spartito per una sinfonia di astronavi che sparano volteggiando come in una danza. Questa varietà, in cui rientra anche l'affascinante isola di Skellig, riprende l'amore e la fantasia di Lucsa, che cercava di arricchire la sua galassia con mondi e paesaggi sempre più particolari e fantasiosi, una tradizione non presente in Episodio VII.

Dal punto di vista musicale John Williams si conferma una garanzia, e i temi realizzati per il precedente episodio assumono forza e consistenza, risultando molto più solidi: sia il flauto di Rey che le fanfare del Primo Ordine entrano a pieno titolo nella solida discografia Guerre Stellari.

La sceneggiatura è solida, ma non neghiamo che ci siano dei problemi. Le battaglie, ben condotte ed affascinanti, mostrano posizioni improbabili tra le colossali navi nemiche contro gli scarsi mezzi dei ribelli, in maniera molto poco credibile, indebolendo la sospensione d'incredulità, ancor di più che negli scorsi episodi. Lasciano perplessi anche certe scelte buoniste e fin troppo politically correct - dalla protezione degli animali al vegetarianesimo - che appaiono forzate, così come la rappresentazione cosmopolita della galassia, utilizzata più per vendere il film nei diversi mercati piuttosto che per scelte narrative.

Un punto di vista su 'Gli ultimi Jedi'

In sintesi, il nuovo Star Wars convince ma non vince, azzecca una sceneggiatura tesa e solida, incrocia più trame in un arco temporale serrato e nuovi azzeccati comprimari, e non fa pesare affatto la sua lunga durata.

Il film osa e, pur citando a piene mani Episodio V e VI, propone nuove strade nella mitologia e apre scenari interessanti: è coraggioso, spavaldo, ma lascia tutto in sospeso in vista dell'episodio finale. Inoltre, certe cadute di stile, come l'ultima scena finale terribilmente retorica, risultano fuori luogo, indebolendo l'epica della galassia lontana lontana. La forza, insomma, continua a scorrere potente, ma il giudizio va rimandato al prossimo, e conclusivo, capitolo.