Dopo la delusione di Alien Covenant nel 2017, Ridley Scott ritorna subito al Cinema con Tutti i soldi del mondo, film con cui il regista britannico porta sul grande schermo, romanzando in parte la vicenda, la storia del rapimento di John Paul Getty III a Roma nel 1973. Diciassettenne, nipote del petroliere miliardario statunitense Jean Paul Getty, il giovane rampollo fu catturato la notte del 10 luglio, nei pressi di Piazza Farnese, da una banda di criminali affiliati alla ‘ndrangheta, che chiese un riscatto di 17 milioni di dollari per la sua liberazione.

Da Spacey a Plummer

La pellicola passerà alla storia per essere stata colpita indirettamente dalle numerose accuse di molestie sessuali rivolte contro Kevin Spacey a pochi mesi dall’uscita del film. L’attore due volte Premio Oscar avrebbe dovuto impersonare, con un robusto aiuto di trucco facciale, l’ultraottantenne Jean Paul Getty ed era apparso nei diversi trailer promozionali. Ma, per evitare un danno di immagine, la produzione ha deciso di sostituirlo con il canadese Christopher Plummer, rigirando a tempo di record tutte le scene in cui era presente il personaggio.

Uno Scrooge del Novecento

Forse non avremo mai modo di vedere le scene originali con Spacey, ma una cosa è certa: il Getty di Plummer è il maggiore punto di forza di questo film, un Ebenezer Scrooge del Novecento, avido, avaro e capace di regalare agli spettatori perle formidabili di cinica saggezza.

Un personaggio per cui il denaro e i beni personali sono la cosa più importante e che affronta il sequestro del nipote come un’altra delle tante faccende di affari. Un personaggio ottimamente scritto, arricchito dalla performance sopraffina di Plummer. Meritata la sua nomination agli ultimi Golden Globe come miglior attore non protagonista e potremmo ritrovarlo anche ai prossimi Oscar.

Luci e ombre

Buone le prove di Michelle Williams, nel ruolo della madre del giovane Paul e nuora del vecchio Getty, e Mark Wahlberg che ha dato il volto a un ex agente della Cia, al servizio del miliardario come negoziatore. Le interpretazioni dei tre personaggi principali salvano un film che, al netto della solita maestria registica e tecnica di Scott, presenta molti difetti.

Il ritmo è discontinuo e la parte centrale eccessivamente lunga e lenta. I troppi salti spazio-temporali non danno una chiara percezione della durata della vicenda: nella realtà tutto si svolse in cinque mesi, nella pellicola sembrano passare solo poche settimane. Il momento che sblocca la trama nel finale non è affrontato con il dovuto approfondimento, ma il problema principale è la visione troppo stereotipata dell’Italia, dove è ambientata la maggior parte del film.

Il giovane Paul viene rapito in un centro di Roma che ricorda più l’epoca della dolce vita che gli anni Settanta. I rapitori sembrano spesso degli incapaci e passano tutto il tempo a mangiare, bere, suonare, cantare e ballare. Gli inquirenti e i poliziotti italiani passano per degli incompetenti nel paragone con il personaggio di Wahlberg, il classico eroe americano salva-tutti.

Insomma da un regista straordinario come Ridley Scott era lecito aspettarsi di più. Il risultato finale è comunque abbastanza godibile e raggiunge la sufficienza, ma la pellicola non è certo memorabile soprattutto se paragonata con i tanti capolavori diretti dal cineasta britannico. Sarà ricordata molto di più per lo scandalo-Spacey che per quanto visto in scena.