Il fotografo palermitano Antonio Calabrese, ispirato dagli inchiostri preparatori di Silvia D’Anca, esporrà, nell’atrio Monumentale di Palazzo delle Aquile le sue opere dedicate alla figura settecentesca di Giovanna Bonanno. La mostra sarà inaugurata il 13 gennaio 2018 alle ore 17 nell’aula Rostagno e, potrà essere visitata tutti i giorni dalle 9 alle 19.30 eccetto la domenica, giorno in cui ci si potrà recare esclusivamente fino alle 13.

Il percorso d’arte riguardante la “Vecchia dell’aceto”, così chiamata nel folklore siciliano, resterà aperto sino al 21 di questo mese.

Scopriamo insieme chi era Giovanna Bonanno

Giovanna, era una vecchia vedova palermitana di 75 anni che sopravviveva mendicando. In seguito ad un evento di cui fu testimone e, grazie al suo ingegno, trovò il modo di procurarsi modiche somme e cambiare il suo destino. Quando si parla della Bonanno, storia e leggenda si confondono e fanno della donna uno dei personaggi siciliani più macabri e affascinanti di fine settecento, infatti, si tratta di una figura presente nella letteratura dell’800 dell’isola e nel teatro popolare. In particolare, all’inizio del '900 si occupò di lei l’autore William Galt che lavorava per il giornale di Sicilia e che pubblicò la sua storia a puntate, riscuotendo successo sia tra i letterati che tra quelli meno colti, questi ultimi, si riunivano intorno a chi sapeva leggere per udire la vicenda di Giovanna.

Ci troviamo a Zisa, sul finire del '700, la vecchia Bonanno era all’interno di una drogheria quando assistette per caso al malore di una bambina che aveva ingerito una piccola quantità di aceto per pidocchi, composto principalmente da arsenico. Lo speziale salvò la fanciulla somministrandole molto olio, affinché fosse indotta a vomitare.

Fu in quel momento che alla “vecchia dell’aceto” venne un’idea. Decise di fare un esperimento, trovò un cane randagio e lo legò ad un palo, gli somministrò l’aceto e attese.

Dopo qualche tempo il cane morì e Giovanna tirò uno dei peli dell’animale e ne analizzò la mucosa delle labbra, giungendo a conclusione che esso né anneriva, né si staccava facilmente e che quindi, la pozione poteva provocare la morte senza destare sospetto.

La donna, preparò una mistura composta da vino bianco e aceto per pidocchi e iniziò a spacciarla come un filtro magico capace di risollevare le sorti degli innamorati infelici e delle famiglie.

Furono molti coloro che acquistarono l’intruglio da Giovanna e i medici dell’epoca, non essendo capaci di comprendere di quale male si trattasse, pensarono vi fosse un’epidemia di febbri gastriche. Furono sette i crimini con certezza riconosciuti alla megera e per lo più si trattò di uxoricidi, le mogli si rivolgevano alla strega per avvelenare i mariti e dopo breve tempo si risposavano con l’amante. Alla morte del coniuge, la maga si presentava alla porta delle novelle vedove richiedendo la sua parcella, segnandosi con la croce e salutandole con l’espressione:

“U Signuri ci pozza arrifriscari l’armicedda”

Dopo qualche tempo però, a causa di un errore la “Vecchia dell’aceto” venne scoperta.

La pozione fu venduta per errore alla nuora di un’amica della maga, Giovanna Lombardo, quest’ultima riconoscendo gli effetti del veleno che prevedevano convulsioni e vomito, si recò a casa della Bonanno con quattro testimoni e la fece arrestare e rinchiudere nel palazzo Steri di Palermo. Il popolo protestò poiché la considerava una strega benefattrice.

Siamo nel 1788 e lo Steri, un tempo sede della Santa Inquisizione Spagnola, era passato da luogo penitenziario religioso a laico grazie all’intervento del viceré Domenico Caracciolo. Egli considerava la magia superstizione e riteneva che fosse retaggio dei secoli oscurantisti e ordinò che non vi fosse più traccia dell’Inquisizione a Palermo.

Ma nel 1789, la processione che condusse la vecchia Domenica alle forche verso i Quattro Canti, seguiva l’antica prassi prevista dal S.

Uffizio e prendeva il via proprio da palazzo Steri. Inoltre, la maga, fu scortata verso il boia dai frati che avevano cercato di farla pentire, come accadeva all’epoca dell’Inquisizione, quando gli eretici erano condannati ad indossare il sambenito (abito penitenziario) e a percorrere le vie della città.

Tuttavia, Giovanna venne condannata ufficialmente come assassina e non come maga. Infatti, in una sua confessione precedente alla condanna, la vecchia aveva svelato ai giudici la vera composizione del suo filtro magico che altro non era che aceto per pidocchi. I medici con esperimenti sui cani, verificarono la veridicità della sua affermazione ma la fama di strega della Bonanno era ormai troppo radicata nell’immaginario collettivo.

Alla morte della Vecchia dell’aceto, la sua testa venne portata davanti alla chiesa della Madonna del Fiume, dove diversi crani di gente giustiziata venivano esposti in una piramide come monito per i peccatori. Tuttavia la vista delle teste, suscitò nel popolo di Palermo devozione anziché orrore e per questo motivo, molte persone vi si recavano dinnanzi per pregarle e chiedere favori, aspettando nel vento, nel sopraggiungere di un carro o di un animale un segno.

Fu così che Giovanna passò nel corso del tempo da strega ad assassina e infine divenne una sorta di martire pagana. Infatti, tra i coinvolti nella vicenda, fu solo lei, l’anello più debole della catena, quella che ancora oggi è considerata dal folklore siciliano una faia, creatura a metà strada tra fata e strega ad essere condannata a morte e non le altre donne che avevano somministrato il veleno ai propri mariti.

Forse perché la legge operava ancora sotto l’influenza della precedente Inquisizione? Forse perché la superstizione instillava ancora paura nei confronti di vecchie fattucchiere?

Non si hanno risposte precise ma, debole, povera, vecchia e, nonostante l’evidenza dei fatti, ritenuta da tutti strega, fu solo Giovanna a pagare con la vita. Quella vita che, costretta alla povertà, aveva cercato di risollevare sfruttando la predisposizione della gente verso la magia. Alla luce di questi eventi, possiamo ancora definirla assassina?

Forse si tratta di una vittima che la storia ha schiacciato sotto i suoi eventi, un’ulteriore “strega” simile a tutte le donne che furono arse vive prima di lei, guaritrici, belle, scomode o povere.

Tutte vittime di una meccanica del potere dove a soccombere è sempre il più debole. Non sorprende che la leggenda la voglia ancora irrequieta a vagare come spettro tra le strade di Palermo, nonostante tutto è la gente che mantiene la Bonanno in vita, parlando ancora, dopo secoli, della sua vicenda e di quella vecchia mendicante che la storia, sempre al servizio dei potenti, etichetta come una delle prime serial killer.