Rachel (nella versione originale, My cousin Rachel, Mia cugina Rachele, rapporto di parentela inspiegabilmente omesso nel titolo italiano) è il nuovo film di Roger Michell, il regista del celebre Notting Hill, nei cinema a partire dal 15 marzo. È anche la nuova trasposizione cinematografica di un romanzo di Daphne du Maurier, autrice delle opere da cui sono stati tratti Rebecca, la prima moglie e Gli Uccelli di Hitchcock, oltre ad una precedente versione di Mia cugina Rachel del 1952 con Olivia de Havilland ed un Richard Burton alle prime armi.
Se tutto ciò non bastasse, Rachel è pure la nuova fatica dell’omonima attrice protagonista, rachel weisz, che sarà presente nelle sale cinematografiche italiane anche con Il mistero di Donald C.
(dal 05 aprile). Schierando carte vincenti quali il regista del famoso film con Hugh Grant e Julia Roberts, l’autrice di due tra i più noti film di Hitchcock ed un’attrice premio Oscar 2005 (pur se per un ruolo da non-protagonista), ci si sarebbe aspettato da questa sorta di thriller gotico qualcosa di più. Rachel, infatti, non convince fino in fondo.
La trama
Siamo in pieno Ottocento. Philip, protagonista maschile e voce narrante ad inizio e fine film, è un orfano accolto dal cugino più grande, che diventa suo tutore, suo unico grande affetto familiare, suo quasi simbiotico migliore amico. Questo fintanto che non si ammala ed è costretto a fare un viaggio in Italia, all’epoca considerata un toccasana per la salute dei ricchi benestanti inglesi, indeboliti dal pessimo clima del loro paese natale.
Lontano dagli occhi lontano dal cuore, a Firenze Ambrose, il cugino-tutore, fino a quel momento disinteressato ad avere altre relazioni se non quella di affetto con il giovane Philip, si innamora inaspettatamente di una vedova – che per oscure e mai spiegate ragioni viene presentata come sua (ulteriore) cugina. In patria, vengono al corrente della notizia leggendo le sue lettere uno stupito Philip – che commenta “non aveva mai dato importanza alle donne, aveva già me!” -, il suo padrino, Nick Kendall, – che appare altrettanto sconcertato dall’apprendere dell’avvenuto matrimonio di Ambrose -, e la figlia del padrino, Louise – che evidentemente si augura che il cuginetto segua le orme del suo tutore, possibilmente guardando nella sua direzione per trovare anche lui moglie.
L’idillio di Ambrose sembra però durare poco, e Philip ben presto riceve una sua missiva dai toni concitati in cui viene informato del peggioramento delle sue condizioni di salute e dei suoi sospetti verso la novella sposa, rea a parer suo di volerlo far fuori.
Già poco esaltato dal matrimonio, non basta altro a Philip per precipitarsi in Italia a salvare Ambrose dalle grinfie della perfida moglie, Rachel.
Ma arriva troppo tardi, quando ormai l’adorato cugino è morto e la sicuramente orribile megera partita per altri lidi. Philip (Sam Claflin) giura allora, con tanto di pugno alzato contro il cielo, vendetta tremenda vendetta contro la malefica consorte, ritenendola senza dubbio colpevole della morte di Ambrose, pur se in realtà sarà lui stesso e non lei ad ereditare tutti i beni del defunto. Pago di aver ben minacciato l’aria, Philip se ne torna in Cornovaglia, ad attendere nella pace della sua dimora di campagna simil-fattoria il giorno del suo venticinquesimo compleanno, in cui ufficialmente entrerà in possesso di tutti i beni ereditati. Ed è qui che la fino ad allora semplicemente evocata Rachel, cugina per proprietà transitiva anche di Philip, decide di palesarsi, giusto per fare un saluto all’erede dello scomparso marito, già che dall’Italia, all’epoca, ci si metteva un attimo.
A questo punto si teme il peggio per la sciagurata, che ha ardito recarsi nell’antro del nemico e sfidarne l’ira funesta: come si sfogherà la rabbia di Philip e il suo desiderio di vendicare la morte del cugino? Implacabile, Philip incomincerà per – udite udite – non andarla neanche a salutare. Che già questo, come affronto, non è mica da ridere. Poi, la convocherà bruscamente a cena, ma non di persona, tramite il servitore (che quando è accecato dalla collera, Philip è davvero senza pietà). Quindi, constatando che lei non si degna nemmeno di prendere in considerazione l’ipotesi di scendere, affermerà sarcasticamente che “probabilmente è troppo grassa per fare le scale”, ridendo da solo alla sua feroce battuta.
Infine, davvero spazientito, salirà le scale lui per andargliene a dire quattro. Dopodiché, la vedrà. E da quell’istante inizierà a scodinzolarle intorno come un cagnolino in calore (a cui, tra l’altro, Rachel lo paragonerà in seguito, dicendogli con attitudine piuttosto sprezzante che lui è un “adorabile cucciolo in cerca della mamma”).
L’infatuazione da scolaretto di Philip lo porta a rivedere completamente i suoi propositi di vendetta, mentre non è chiaro se l’enigmatico viso di Rachel sia quello di un innocente seppur ambigua vedova sofferente o di un’efferata criminale in cerca della nuova vittima. Indizi in un senso e nell’altro si sprecano, sfoderando l’intero repertorio del genere senza molte sorprese.
Lo stesso Philip, pur scodinzolando, sarà spesso attanagliato dall’amletico dubbio che ci ha esposto in voice off nel momento iniziale del film: “Did she? Didn’t she? Who’s to blame?” (L’ha fatto, non l’ha fatto? Di chi è la colpa?). Resta il mistero.
I lati positivi del film
Il look di Rachel Weisz, stupenda bellezza gotica in abiti ottocenteschi, col velo in merletto scuro davanti al volto, da vera “vedova nera” sinistra quel tanto che basta da essere inquietante ed affascinante insieme. Notevole anche la sua espressione, un misto tra madonna addolorata e psicopatica serial killer (quella da grande classico, la perfettina-acqua-cheta-insospettabile che si trasforma in furia omicida quando meno te l’aspetti, e sempre col sorriso e la piega impeccabile).
Va detto che, a parte una certa luce vagamente preoccupante in questo particolare caso, si tratta dell’espressione tipica di quest’attrice, quindi forse il merito va più alla sua faccia che alla sua capacità interpretativa.
Carina la fotografia, molto “british”, dai toni freddi, a parte lo stupendo bosco col prato di fiori viola e qualche altra bell’inquadratura della natura selvaggia della Cornovaglia.
I lati negativi di Rachel
La colonna sonora di Rael Jones, che fin da subito sottolinea in modo insistente ed eccessivamente didascalico il clima di presunta suspense che dovrebbe regnare. Una serie di luoghi comuni, francamente abusati, tipo la scena della collana di perle che cadono al rallenty dalle scale, o le immagini degli incubi/deliri, a velocità accelerata e colori virati.
Il personaggio di Philip, che pare un perfetto beota pronto a “ruotare sulla punta del dito” di Rachel, come sagacemente sottolinea Louise, la figlia del padrino gelosa in quanto avrebbe voluto essere lei al suo posto (presumibilmente, a farlo ruotare sulla punta delle sue, di dita).
Bilancio totale
Può suscitare un sorriso di affettuoso orgoglio patriottico la partecipazione di Pierfrancesco Favino, nel cuore degli italiani dopo lo scorso Festival di Sanremo, e presenza-cameo in questa produzione internazionale. Con tutta la simpatia, però, un po’ poco per riuscire a far apprezzare il film, che non riesce a convincere ed andare oltre il “drammone” ottocentesco abbastanza banale e scontato.