Esce nelle sale italiane il 1° marzo Lady Bird, scritto e diretto dall’attrice/sceneggiatrice/chi-più-ne-ha-più-ne-metta Greta Gerwig e candidato a ben 5 Oscar - Miglior Film, Miglior Regia, Migliore Sceneggiatura Originale, Migliore Attrice Protagonista e Non-Protagonista.
Nonostante sia la sua prima volta “sola al comando” (in precedenza aveva co-diretto e sceneggiato numerosi film definiti mumblecore, produzioni indipendenti a basso budget spesso con attori non professionisti), la Gerwig si è dimostrata capace di confezionare una deliziosa commedia, per cui è già stata premiata anche con il Golden Globe.
Il successo di Lady Bird è sicuramente dovuto alla freschezza della sua scrittura, ma anche alla bravura dell’interprete principale, una Saoirse Ronan che incarna perfettamente le caratteristiche della teenager atipica, caustica, a tratti surreale, ma sempre estremamente veritiera – complice forse la componente autobiografica messa dalla regista nel racconto.
La trama
La storia, infatti, si svolge a Sacramento, città natale della Gerwig; la protagonista ha una madre infermiera – così come la Gerwig – e frequenta una scuola secondaria cattolica, esattamente come ha fatto la regista. Il resto delle similitudini si possono soltanto sospettare, essendo il film incentrato sul rapporto piuttosto complicato tra madre e figlia.
Siamo nel 2002, con l’attacco alle Torri Gemelle ancora fresco nelle menti delle persone, con la preparazione alla guerra in Iraq che si intuisce dalle frasi che risuonano in sottofondo dalla televisione, con una crisi economica che inizia a falciare vittime nella classe media, tra cui il padre della protagonista, lasciato a casa dall’oggi al domani dal lavoro e attualmente in depressione.
Lady Bird (Saoirse Ronan), il nome che la diciasettenne Christine ha scelto di darsi, ben esprime il suo desiderio di volare via dal “nido” lievemente soffocante e claustrofobico cui la madre Marion (Laurie Metcalf) vorrebbe confinarla, fisicamente e psicologicamente, tarpandole le ali ogniqualvolta esprima il suo desiderio di andare oltre e non accontentarsi.
Marion, dal canto suo, angosciata dalla mancanza di soldi, dalla mancanza di lavoro del marito, dalla mancanza di reazioni da parte di quest’ultimo, che affoga placidamente in una sorta di depressa apatia, cerca con tutte le sue forze (e con non poca rabbia) di tenere in piedi l’intera famiglia.
E sbatte in faccia la realtà alla sua figlia adolescente, che sogna la cultura di New York, che aspira ad entrare in un’università della East Coast, che si vergogna di dire dove abita all’amica danarosa e che si immagina proprietaria della casa più bella del quartiere, che incidentalmente è anche quella della nonna del suo primo boyfriend. Da una parte, una figlia che spera in un avvenire diverso, e che ogni tanto “abbellisce” la realtà (o la inventa) per poterla fuggire più velocemente; dall’altra una madre che teme di perdere la figlia, che teme che cada sfracellandosi per aver volato troppo alto, che si altera anche per quella ingratitudine di fondo, così classicamente adolescenziale, che Christine ha nei suoi confronti, al punto da rifiutare anche di essere chiamata col nome che lei le ha dato.
Il tutto scandito con i tempi dell’anno scolastico ed insieme del viaggio, che questo ultimo anno di scuola rappresenta per Lady Bird. Non a caso il film inizia come un classico “road movie”: lei e la madre in un motel e poi in auto per strada verso Sacramento, intente a commuoversi ascoltando insieme l’audiolibro di “Furore” di Steinbeck (che giustappunto narra dell’epopea di una famiglia costretta a migrare in California dalla crisi e dalle banche che sfrattavano i proprietari dai loro immobili), che litigano l’istante dopo per un nonnulla (una vuole sentire la musica, l’altra no), che trascendono e inveiscono una contro l’altra. Per troncare la pesantezza della conversazione, Lady Bird apre la portiera al primo rallentamento dell’auto al semaforo e si butta dalla macchina in corsa, mentre sua madre grida terrorizzata.
In questa prima scena, il tono di tutto il film, in cui è soprattutto la protagonista a sorprendere, per le battute inaspettate, per i momenti sopra le righe, in cui esagera, per quella dose di sana pazzia che la rende la teenager bizzarra e fuori dagli schemi che è, e che rende particolare l’intera commedia. Che in sé e per sé ha tutti gli elementi classici delle tipiche commedie da teenager americana in high school: la protagonista lievemente emarginata con la migliore amica intelligente ma bruttina, che ad un certo punto tradisce per ingraziarsi la ragazza più “popolare”, di norma bella ricca ma vuota; il girotondo di fidanzati, di cui uno buono ma sempliciotto (che nasconde un segreto), l’altro tenebroso ma più genere “bad guy”; un tocco di conflitto familiare e qualche coprifuoco infranto, giusto per gradire.
La forza di Lady Bird è nel modo di narrare una storia apparentemente scontata e già vista, che riesce a renderla originale.
I lati positivi del film
La scrittura di Greta Gerwig: le battute argute che mette in bocca ai suoi personaggi, in particolare alla protagonista; quel suo humor un po’ dissacrante un po’ scanzonato ed autoironico; quei dettagli realistici che danno il colore di vita vissuta e insieme fanno sorridere (dai 10 minuti occorsi ad Alanis Morisette per scrivere una canzone, e il padre che commenta “Non ne dubito”, al fidanzato N°2, il bel tenebroso, che la mette in guardia sulla schiavitù che un giorno le darà quello stesso cellulare che lei ora vorrebbe avere – ammonimento dal sapore dolce amaro, a risentirlo ora in piena era social media); quei momenti emozionanti in cui madre e figlia si parlano davvero.
Il suo aprire con un viaggio e chiudere con un altro, uguale e contrario, che riporta Lady Bird a riflettere sul punto di partenza, ora che ha fatto il suo percorso e ha maturato la consapevolezza di essere Christine.
Saoirse Ronan, molto brava, quasi impossibile immaginarsi un’altra più credibile Lady Bird: coi suoi capelli stinto-rosa riesce a dare un tono punk-sentimental-intellettual-indie, che a leggerlo sembra un programma, ma poi, quando lo si vede, appare del tutto naturale.
Timothée Chalamet nei panni del fidanzato numero 2, il bel tenebroso, che viene da prenderlo a schiaffi per quanto riesce perfettamente ad interpretare il classico ragazzo apparentemente “troooppo” interessante, politicamente impegnato, musicista, naturalmente sensibile, anche – ci mancherebbe – piuttosto appassionato, e poi irrimediabilmente deludente.
Insieme a lui, tutti gli attori “di contorno”, dalla migliore amica cicciotta che però dà i punti a Lady Bird in canto, matematica e, alla fine, pure in “morale”, al fratello con fidanzata-clone, al padre a volte fastidiosamente passivo, ma che riesce comunque a supportarla, alla madre, tratteggiata con maestria nelle sue contraddizioni.
I lati negativi
Probabilmente la connotazione un po’ adolescenziale e l’attitudine all’”affresco”, all’abbozzare una serie di tematiche, sfiorarle, senza approfondirle, che poi è la caratteristica di questo genere di commedie e di molti film “indie”: una certa quasi leggerezza nel delineare con brevi tratti degli argomenti, sorvolandoli, si direbbe, presentandoli senza volerli fino in fondo affrontare.
Che lascia, alla fine della visione, con la sensazione di aver guardato qualcosa di “piacevole”, “carino”, “grazioso”. Ma non di immensa sostanza.
Bilancio totale
Fresco e gradevole, fa sorridere spesso, è arguto a volte, nel finale cerca di (e quasi riesce ad) essere toccante. Nel complesso, non male.