New York 23 aprile; al Tribeca film festival viene presentato “Horses”, primo film documentario sul primo e forse più celebre album di una delle icone poetiche più rock della storia: Patti Smith. È lei, la poetessa/guerriera, colei che ha traghettato le generazione post-Hippie, verso una presa di coscienza più individuale che collettiva, a dominare la scena, con il suo carisma sempre selvaggio, ma anche più serafico come vuole il tempo quando aggiunge coscienza sugli occhi e sul cuore, prima che sul viso.

Sul palco del Beacon Theatre, Patti si esibisce con la sua band, interpretando gli “horses” di battaglia di quel contenitore di pulsioni e passioni, che la ventottenne Patricia Lee incise nel 1975, assieme ai suoi capolavori successivi.

Ma il vero colpo di scena accade verso la fine, quando Patti chiama sul palco un paio di vecchi amici: uno è Michael Stipe, fresco del primo album da solista, dopo la fine dell'avventura con i R.E.M; l'altro è colui che, ancora sconosciuto diede alla sacerdotessa del rock il brano che diventò brevemente l’inno di un’intera generazione: il brano era “Beacause the night” e l’amico era Bruce Springsteen.

Storia di un brano che non avrebbe dovuto nascere

Non c’è bisogno di spiegare l’entusiasmo che il pubblico di ogni età riesce a provare, quando “The Boss” sale su un palcoscenico, ma in quest’occasione, il clamore è ancora più forte, perché i due non stanno cantando una canzone qualunque, ma un brano che non sarebbe dovuto nascere e che invece è nato, è sopravvissuto alle mode e oggi compie 40 anni.

Forse non tutti sanno infatti che il celebre successo di Patti Smith, in realtà fu scritto da Springsteen, quando ancora non era il boss, ma quanti ne conoscono la genesi? Il brano è contenuto nel secondo album dell’artista; “Easter”, uscito il 3 marzo 1978, ma l’origine di questo lavoro risale a un anno prima. Era il 23 gennaio 1977 e al Curtis-Hixon Hall di Tampa, in Florida, Patti Smith sta portando in scena i brani di Horses, con il suo consueto stile, aggressivo, ma anche trascendente e disincantato.

Nel bel mezzo di Ain’t it Strange, lo stato di grazia sale alle stelle e lei, rapita dal suo stesso canto monotonico, al limite dell’ipnosi collettiva, scivola giù dal palco, battendo la testa e il collo su di un monitor.

Portata subito in ospedale, si pensa subito al peggio; Patti ha due vertebre fratturate e non ha ancora ripreso conoscenza.

Nonostante la paura generalizzata, la poetessa si trasforma in leonessa, riprendendosi gradualmente e senza annullare i concerti successivi.

Seduta su una sedia a rotelle, a piccoli passi, Patti Smith torna a esibirsi quasi subito, perché la rabbia punk e la voglia di libertà è troppo grande per aspettare una riabilitazione. Per una come lei che viene dal C.B.G.B. la musica è un campo di battaglia, ma quell’incidente la farà riflettere profondamente, sulla stessa esistenza e la volubilità del destino. La poetessa anarchica e irriverente comincia a studiare anche i testi sacri: La Bibbia, Il Vangelo secondo Matteo, ma anche Pasolini si affiancano agli amici di sempre, Rimbaud e Verlaine.

E alla fine è lei stessa a “risorgere” dalle sue paure e inquietudini; il risultato è un album che parla, in certo senso proprio di resurrezione e si chiama non a caso “Easter”.

Undici brani che, passando da trasfigurazioni laiche e provocatorie sulle categorie teologiche a introspezioni spirituali incentrate sulla caduta, sulla traversata nel deserto delle ideologie e alla fine, sulla resurrezione a nuova musica.

Il caso vuole che nello stesso momento in cui Patti stava registrando Easter, il suo produttore Jmmy Iovine, stava seguendo un giovanissimo Bruce Springsteen, acerbo e ancora lontano dal diventare la leggenda americana che tutti conoscono. Fra i provini del giovane Bruce, c’è un pezzo in particolare che, nonostante la crudezza della struttura, possiede un ritornello orecchiabile e molto evocativo: "Because The Night belongs to lover". Iovine ne comprende il potenziale e decide di farlo ascoltare a Patti, per una possibile integrazione nel nuovo album.

Lei, al primo ascolto, lo scarta subito, bollandolo come “m….. commerciale”: forse non prestò adeguata attenzione, spinta anche dalla necessità di controllare e gestire il proprio materiale musicale.

La notte porta consiglio anche a Patti, tanto che gli incubi notturni riescono ad avere l’effetto catartico di una rivelazione. Il giorno dopo, riascolta il nastro con più attenzione, individuandone subito lati positivi: un’introduzione quasi elegiaca, un chorus inaspettatamente diverso da quello che poteva presumere lo sviluppo iniziale, un ponte d’intermezzo perfettamente allineato alla melodia, per introdurre un ritornello solenne, elettrico e carica di vibrazioni longilinee; argento vivo diventato suono.

Questo e altro ancora era il destino di Because the Night e, ancora oggi, a quarant’anni di distanza, non è solo il brano che identifica Patti Smith e la sua grinta surreale, ma anche l’inno di una generazione alternativa al costume; quella di coloro i quali osservano dal bordo delle strade, quella dei sognatori pronti a partire, quella degli amanti, che s’impossessano della notte, per risorgere il giorno dopo.