Film che fanno la rivoluzione. Pellicole figlie o madri di rivoluzioni culturali e sociali, ce ne sono in ogni cultura, anche in quella italiana.

Il Cinema del bel paese, quello moderno, è stato spesso criticato, sminuito, considerato nettamente inferiore rispetto ai suoi avi, rispetto alla settima arte dei grandi maestri quali Fellini o Rosi. Un cinema insomma, che è parso buono solo a "scimmiottare i capolavori hollywoodiani", a produrre cinepanettoni ma che faticava a trovare una precisa identità o peculiarità da invidiare in tutto il mondo, come in passato.

Eppure qualcosa si muoveva nel fondale, cresceva e spingeva. E sono spuntati fuori eccezioni da Oscar: Sorrentino docet. Oggi questo cinema sembra alzare il tono della propria voce giorno dopo giorno, anno dopo anno e si rimette in piedi grazie ad una nuova generazione di registi e attori ben assortita. Artisti pronti a narrare storie anche impossibili, con strumenti inusuali e rompendo le regole.

E' questo che fa "Sulla mia pelle", il nuovo film di Alessio Cremonini, uscito il 12 Settembre 2018. E' la storia nuda e cruda degli ultimi sette giorni di vita di Stefano Cucchi, 31enne deceduto il 22 ottobre 2009 durante la custodia cautelare a Regina Coeli. Il tema scottante è l'abuso di potere da parte delle forze dell'ordine nei confronti dei detenuti.

Si tratta di uno degli eventi che ha maggiormente segnato la storia giudiziaria italiana e l'opinione pubblica dell'ultimo decennio. Una morte celata per lungo tempo da dubbi e misteri.

Alessandro Borghi interpreta Stefano Cucchi

A vestire i panni del protagonista è Alessandro Borghi, ormai non più promessa ma vero rappresentante di punta del cinema nostrano.

Dopo Suburra, Non essere cattivo e Napoli Velata, ecco l'ennesima grande sfida per lui. Nonostante la palese differenza fisica con Stefano e le varie difficoltà nell'avvicinarsi ad una personalità del genere, l'attore non avrebbe mai rinunciato e, come confessa ai microfoni, non avrebbe mai lasciato questo ruolo a qualcun altro.

La sua bravura nell'interpretazione è frutto di un duro percorso di immedesimazione che lo ha portato tra le altre cose,a dimagrire di 18 chili. Nel racconto non ci sono scene di violenza esplicita, non si vedono atti diretti di percosse o sangue, eppure la violenza trasuda da ogni urlo di Stefano, ogni sguardo, ogni silenzio.

Il coraggio di questo team non è dato solo dalla scelta della trama ma anche dai mezzi di diffusione. Per la prima volta un film è uscito contemporaneamente al cinema e su Netflix. Scelta criticabile. Poco saggia. O forse no. Perchè è vero che molta gente lo vedrà comodamente dal divano di casa e non sosterrà economicamente il progetto, ma è anche vero che il suo impatto mediatico sarà raddoppiato e il messaggio si diffonderà su larga scala.

Ecco che lo scopo di lucro, tipico di ogni film, viene messo da parte lasciando spazio al fine principale: scuotere le anime, risvegliare la rabbia e il dissenso, dar vita ad opinioni personali.

Anzi, paradossalmente, quasi in risposta a tutte le critiche, dopo la presentazione al 75esimo Festival del Cinema di Venezia, in questi primi giorni il film è sesto in classifica ai botteghini e le sale sono piene. Il successo è arrivato immediato.

E quindi a fine proiezione, si uscirà di casa o dalla sala e se ne discuterà, si confronteranno emozioni e sensazioni o si rimarrà semplicemente in silenzio, tra un respiro profondo e una lacrima. Nel bene e nel male, la storia di Stefano Cucchi esisterà ancora. Non sarà un caso dimenticato negli scaffali impolverati di un tribunale, sarà nelle teste, nelle bocche e nei cuori. Ecco le piccole grandi rivoluzioni.