Si esce dalla visione di "Millennium - Quello che non uccide" - da ieri nei Cinema italiani - con sentimenti ambivalenti, almeno nell'ottica cinematografica di chi ha letto sia i libri di Stieg Larsson, l'inventore della saga - e quei due apocrifi di David Lagercrantz, da uno dei dei quali è stato tratto il film. Per chi come chi scrive ha amato i tre titoli di Larsson ed ha visto tutti gli adattamenti cinematografici - sia svedesi che americani - trovandoli comunque rispondenti ai canoni della saga, la visione di quest'ultimo l'ha lasciato basito.
Nel film al cinema la protagonista diventa Lisbeth Salander l'hacker svedese con un passato di molestie che vive come un cane in cattività senza alcuna affettività se non qualche po' di sesso con amanti di fortuna ed un rapporto con Mikael Blomkvist, che nei libri di Larsson è il vero protagonista. La sorella Camilla la sta braccando per impossessarsi di un firefall, inventato da Balder, che rivoluziona la difesa nucleare su scala mondiale. Per aprire questo file l'accursio è Auguste, il figlio di Balder, e gli Spider cercano, in combutta con la Sapo, proprio il bambino per impadronirsi del programma. Mentre la Nsa americana con l'agente Edwin Needham cerca di riportare negli States il programma.
Il thriller al cinema è un'altra cosa rispetto ai libri di Larsson
Il giornalista di Millennium - interpretato da Sverrir Gudnason - invece funge da figura di contorno che cerca di stare al passo delle due donne scatenate. Se avessimo avuto la ventura di vedere il film senza nulla sapere della genesi letteraria e cinematografica avremmo apprezzato la regia di Fede Alvarez e la bravura dell'attrice Claire Foy che interpreta una volitiva e sensibile Lisbeth.
Ma chi ha letto i libri di Larsson - pubblicati in Italia dall'ottima editrice Marsilio - sa bene che la Salander non ha alcun profilo di empatia e che Mikael Blomkvist non è tipo da viaggiare a rimorchio di chiunque, neanche della sua hacker preferita. Tra parentesi Lagercrantz non scrive neanche male e sa costruire meccanismi da thriller che l'ottima Alvarez sa rendere ritmici anche in sala cinematografica, ma si assiste ad un'altra storia e ad un altro film: finanche ad un altro genere.
Il thriller in Larsson è solo un espediente per parlare di una società - come quella svedese - in perenne corruzione finanziaria, ma che ha in sé gli anticorpi rappresentati da una stampa indipendente nei manici ed anche nelle trasparenti strutture organizzative. La si smetta di accostare alla memoria di Stieg Larsson quel bel thriller-action, che è al cinema in questi giorni.