Nella giornata di mercoledì 2 ottobre a Librixia, la fiera del libro di Brescia, è salita in cattedra Dori Ghezzi, che ha partecipato alla presentazione del libro “Anche le parole sono nomadi”.
La moglie dell’indimenticato Fabrizio De Andrè ha spiegato. “Oggi tutto è contaminato, anche gli idiomi e i dialetti. Però niente può fermare le parole e il nostro dialetto rappresenta un grande patrimonio culturale da cui attingere e da salvaguardare”. Ma il libro è soprattutto il racconto inedito della vita del popolare cantante genovese. “E poi ad un tratto l’amore scoppiò dappertutto.
Lo andava dicendo a chiunque e non è un caso che ognuno abbia un’immagine soggettiva e personale delle sue canzoni”.
Fabrizio era un uomo schietto e preciso e ciò si rifletteva nella sua produzione artistica. “Le canzoni non vanno spiegate - mi diceva sempre - anche se poi faceva esattamente il contrario”.
Fabrizio personaggio di rottura
“In Italia abbiamo altri cantautori bravissimi, ma lui è stato un personaggio di rottura. E’ quello che ha avuto più coraggio”. Così dalle parole di Dori Ghezzi viene fuori il ritratto di un artista non convenzionale e appassionato che ha usato il dialogo come forma d’arte e di protesta. “Ha fatto suo un linguaggio elegante, mai offensivo. Però allo stesso tempo era tagliente anche se parlava in modo pacato e mai violento”.
Nelle sue canzoni si ritrovano spesso gli stessi temi ma c’è una differenza tra il cantante degli esordi e quello maturo. “Fabrizio, se non aveva nulla da dire, preferiva stare zitto”, continua la cantante.
“All’inizio della sua carriera omise il suo cognome per non coinvolgere la sua famiglia e solo molto più tardi iniziò i suoi concerti.
Probabilmente prima non aveva abbastanza da trasmettere. Per lui contavano i contenuti”. Il racconto intimista di Dori Ghezzi prosegue tra un ricordo e l’altro. “Per Fabrizio era così importante quello che si diceva nel testo delle canzoni che cercava di dissuadere i discografici sull’utilità della foto in copertina. Era un uomo generoso che offriva agli altri tutto, soprattutto le sue cose belle”.
La crisi di un genio
Come in tutte le narrazioni più avvincenti, anche per De Andrè il decorso di una crescita positiva è interrotto da una crisi. E su questo l'artista spiega: “Fabrizio ritornò alla terra, voleva fare il contadino e io lo assecondai. Solo così sarebbe tornato a fare il cantautore”. Seguì il periodo in Sardegna. “Fabrizio non si alzava certo alle sei del mattino, anche perché avevamo un gallo simpaticissimo che non cantava prima di mezzogiorno”, ammette Dori Ghezzi.
“Però ricordo che una notte dormì con un toro in un vano trasporti e alla sua discesa ammise candidamente che non si poteva non dire che fossero diventati mariti. Il toro si chiamava Napoleone”. Ma anche le esperienze più estreme hanno un significato.
“Non si parla di fallimenti nella vita. C’è una ricerca continua della felicità e questo vale per tutti. Piuttosto penso che il fallimento vero sia avere tutto ed essere disperati”, commenta la cantante.
Messaggi in musica
“Fabrizio ha avuto il merito di aver scelto collaboratori straordinari per la realizzazione dei suoi dischi e ciascuno di essi contiene significati e messaggi ancora attuali”, afferma la cantante milanese. “Ma se dovessi rinvenire un limite della nostra cultura quello sarebbe sicuramente relativo all’educazione che diamo ai nostri figli e che è diversa a seconda che il figlio sia maschio oppure femmina”.
Viviamo in una società in cui, secondo l’artista, i conti continuano a non tornare e raggiungeremo un punto di non ritorno se non siamo disposti ad azzerare determinati principi. “Penso che uomini e donne debbano finalmente essere educati nello stesso modo, perché solo così si garantisce un mondo migliore”, conclude Dori Ghezzi.