Per certi versi è un romanzo amletico quello che Karl Ove Knausgard si appresta a pubblicare. Si chiama “Fine” (Feltrinelli, pag. 1280) ed esce il 5 marzo 2020.
Prima di avviarsi sulle strade della letteratura, lo scrittore norvegese ha, fra le altre cose, un passato da musicista ‘moderno’. Insomma, da buon ragazzo post Beatles e Rolling Stones, partecipa in alcune band liceali nelle vesti di batterista. Una caratteristica quest’ultima che lo aiuta a caratterizzare il suo peculiare stile di scrittura: di sicuro le sue narrazioni non mancano di ritmo preciso e avvincente.
Il suo esordio nel mondo della carta stampata, avviene con un libro purtroppo non pubblicato in Italia. Il titolo è “Fuori dal mondo” e rappresenta, almeno per la terra norvegese, un unicum: infatti è premiato con il Premio letterario della Critica Norvegese; ed è stata la prima volta che il riconoscimento venne assegnato a un debuttante. Per la distribuzione delle sue opere in terra italiana bisogna aspettare il 2010, quando è finalmente reperibile “La mia lotta – volume 1”, premiato con il Brage Prize l’anno prima. Questo autore vanta anche collaborazioni importanti come quelle con Thomas Vagestrom, e Fredrik Ekelund.
Il libro
È sicuramente un romanzo monumentale questo “Fine”, infatti e come già segnalato, ha ben 1280 pagine!
Tuttavia, di là della ponderosa presenza fisica di questa sua ultima opera, è proprio di Karl regalare al lettore una narrazione dal taglio romanzesco particolarmente dilatato. Infatti la narrazione si articola in tre capitoli. L’imput a comporre questa nuova opera, l’autore lo riceve proprio dall’interno dello stesso suo entourage.
Di fatto vuole essere una risposta verso alcune critiche.
Una delle obiezioni più importanti è mossa da uno zio paterno, Gunnar. Questa figura accusa lo stesso scrittore di aver mentito in riguardo a quanto riferito nei lavori precedentemente pubblicati.
I dubbi dello scrittore
Quando un romanziere compone un romanzo ispirato alla realtà vicina a se stesso, è costretto a porsi delle domande.
E a vivere dei dubbi. Ad esempio, se tratta di personaggi che ben conosce, può individuarli con il vero nome? Lo zio Gunnar, a quanto pare, non è molto d’accordo. Anzi, critica aspramente il nipote e c’è il rischio che ci possano essere degli strascichi da discutere in tribunale. Sulla stessa scia del parere infelice del parente, si colloca anche quella del padre di Knausgard che, prima citato con chiarezza, è corretto in un secondo tempo con un più generico ‘mio padre’.
Tutto questo porta l’autore a riflettere su un tema che probabilmente aveva sottovalutato: è giusto inviare in un universo di finzione una persona reale? Una domanda a cui è difficile rispondere.