La videochiamata è diventata uno dei simboli della quarantena: che sia una chiamata privata, una chat di gruppo su Zoom o una diretta su Instagram, tutti cercano "d'interfacciarsi" con i propri affetti, per cercare di vivere la distanza con un peso più leggero sul cuore. Una chiacchierata può anche diventare una testimonianza del periodo storico che stiamo vivendo e trasformarsi in un cortometraggio ed è questa l'idea che hanno avuto i Sämen, giovane duo registico italiano composto da Ludovico Galletti e Sami Schinaia, che con il corto "Insieme, da soli" (disponibile sul canale ufficiale Sämen su Vimeo) hanno voluto raccontare l'Italia del lockdown, con il suo carico di pensieri, sentimenti e paure.
Il tutto attraverso delle chiacchierate fatte in videochiamata.
Ludovico Galletti ha raccontato come è nata l'idea di "Insieme, da soli" in un'intervista esclusiva per Blasting News.
Intervista a Ludovico Galletti
Com'è nata l'idea di "Insieme, da soli"?
Da regista pubblicitario e autore di cortometraggi sono abituato a lavorare su script di cui ho sempre pieno controllo, dalla messa in scena ai dialoghi, dalla decisione della durata al risvolto.
Il “film” che stiamo vivendo, purtroppo, ha un copione che non ci è dato conoscere, ci ha colto alla sprovvista e resi tutti spettatori. Ho quindi voluto raccontare questo momento da spettatore e scelto il mezzo del documentario per liberarmi da copioni e aspettative, lasciando che fossero le interviste a dare la direzione del progetto e non viceversa.
Gli interventi dei protagonisti sono molto intimi, è stato facile coinvolgerli?
L’emergenza ci ha costretti a indossare delle maschere per proteggerci quando usciamo, ma ci ha liberato da quelle più invisibili dietro cui spesso ci nascondiamo e che celano una parte autentica di noi. Credo che l’intimità sia una risposta fisiologica alla distanza in un contesto fatto d'isolamento e separazione, una conseguenza naturale di quando siamo spinti ad andare più in profondità nelle nostre riflessioni e abbiamo voglia di condividerle.
Il mio merito è stato solo quello di scegliere i partecipanti giusti, che sapevo avrebbero avuto la capacità di elaborare risposte complesse davanti a semplici domande.
Dal corto traspare che per la prima volta siamo tutti sullo stesso piano. Dopo tutte le chiacchierate qual è, secondo te, il sentimento che accomuna tutte le persone in questo momento storico?
Questo è un tema che ha suscitato un po’ di polemiche, perché la pandemia ha colpito sotto diversi punti di vista che non è solo l’esposizione al virus ed è ovvio che il modo in cui ci siamo equipaggiati e le conseguenze che deriveranno saranno migliori o peggiori a seconda delle nostre possibilità, della nostra età, di dove ci troviamo geograficamente, etc.
Sta di fatto che dal punto di vista psicologico ne subiremo tutti le conseguenze, abbiamo paura e ci è stata tolta una grandezza vettoriale che normalmente usiamo per rifugiarci, la velocità. Il mondo si è fermato e ci costringe a riprendere i conti con noi stessi, la nostra realtà. Credo quindi che il sentimento preponderante collettivo sia la compassione, perché ci rendiamo più facilmente conto rispetto a prima di far parte di un insieme e che non è il mondo a girare attorno a noi.
Nel corto la situazione Coronavirus viene definita come una "guerra invisibile". Può sembrare un'immagine un po forte, ma alla fine è la realtà che stiamo vivendo.
Credo il termine invisibile sia forte perché è quello che non possiamo vedere o conoscere che normalmente ci spaventa. Quando diamo una forma a una minaccia ci riesce più possibile misurarci con essa e affrontarla. La possiamo indicare, vedere quanto è grande. È l’invisibilità la caratteristica che rende subdola questa minaccia, ci rende più esposti, non ha una direzione, è ovunque e da nessuna parte. Ciò che possiamo riscontrare sono le conseguenze nei sintomi e nei bollettini, bollettini da guerra. Una “guerra invisibile”.
Nel corto, con la storia di Eleonora, viene raccontata la triste realtà della solitudine dei pazienti ospedalizzati colpiti dal Covid-19.
Com'è entrato in contatto con questa ragazza?
Si tratta di una conoscente di una delle ragazze intervistate nel documentario. Me ne aveva parlato per telefono quando Eleonora era ancora ricoverata e una volta dimessa mi ci ha messo in contatto. Non la conoscevo ma è una di quelle persone molto empatiche e ripercorrere insieme la sua storia è accaduto in modo del tutto naturale. Mi ha colpito la sua ironia, il sorriso, ma soprattutto la lucidità nel descrivere le sue emozioni e nel raccontarsi. Un esempio di forza di chi questa guerra l’ha combattuta e l’ha vinta.
Nel corto ci sono costanti riferimenti cinematografici. Quale film descrivere la situazione che stiamo vivendo?
La situazione che stiamo vivendo credo abbia molte sfaccettature e può essere esaminata da diverse angolature.
L’aspetto a cui ero più interessato io è l’isolamento, perché non l’ho mai provato così forte. In questo senso “A Ghost Story” risulta, sicuramente, la citazione più azzeccata.
Una visione profetica e terribilmente fedele alla realtà che stiamo vivendo l'ha avuta, invece, Soderbergh in "Contagion", uscito ben nove anni fa.
Come sta vivendo Ludovico Galletti e come stanno vivendo i Sämen questa quarantena per il coronavirus.
È difficile dividere i due aspetti. Il fatto di non poter lavorare è demotivante, non sappiamo quando i set potranno riprendere e questo si riflette su di me in uno stato di attesa a tempo indeterminato che mette ansia. Mi sento spesso con amici e colleghi per contaminarci di spunti, film da vedere, dar vita a collaborazioni, ma servono più che altro a lenire i nostri stati d’animo del momento e superare le giornate.
Spero che tutti gli scarabocchi, gli appunti, le memo vocali, le fotografie, i messaggi whatsapp, faranno da tasselli di un puzzle che ricostruiremo dopo, quando sarà finita e allora, forse, prenderanno una forma e un senso più grande.
La domanda che ci si pone più spesso in questo periodo: qual è la prima cosa che farai una volta terminata questa quarantena?
Andare al cinema per evitare che si estingua! Magari all’aperto, sotto un cielo stellato e da in piedi, perché di stare seduti iniziamo a essere stufi.