Il 30 ottobre 1955 una devastante esplosione apre uno squarcio enorme nella chiglia della corazzata Novorossiysk, nave della marina militare sovietica ancorata nel porto di Sebastopoli, in Crimea: dopo quasi tre ore di tentativi di salvataggio, la nave si rovescia e affonda, portando con sé i corpi di 604 marinai. Una mina tedesca della seconda guerra mondiale mai rimossa, secondo la versione ufficiale; una pazzesca azione segreta degli incursori italiani della Xma Mas, secondo una ricostruzione mai ammessa dai canali ufficiali. Perché sino al 1949 il Novorossiysk si chiamava Giulio Cesare ed era stata la più importante nave della Regia Marina italiana, ceduta all’URSS per danni di guerra dopo il secondo conflitto mondiale.

E gli uomini della Xma Mas non volevano che la bandiera con la stella rossa disonorasse la nave da battaglia italiana.

La corazzata orgoglio della marina militare sovietica era in realtà italiana

Nell’autunno del 1955 la corazzata Novorossiysk era l’orgoglio della marina militare sovietica: lunga quasi 180 metri, larga 28, oltre 29mila tonnellate di dislocamento, armata con cannoni da 320 millimetri. La sera del 29 ottobre rientra in porto dopo diversi mesi di addestramento e dopo otto diversi riammodernamenti: la propulsione non è più a vapore ma a turbina e la nave raggiunge i 27 nodi, i cannoni sono i più potenti di tutta la flotta e ora sono a puntamento elettrico, non più idraulico. Per la prima volta la nave monta i radar modello Volley-M, i circa mille uomini di equipaggio sono fieri degli sguardi di ammirazione e invidia che arrivano dalle banchine del porto di Sebastopoli.

Ma c’è un piccolo particolare, che molti dei presenti quella sera fingono di ignorare: sino al 1949 il Novorossiysk si chiamava Giulio Cesare, era stata costruita dalle officine italiane Ansaldo, era stata varata nel 1914 nel porto italiano di Sestri Ponente e insieme alle gemelle Cavour e Leonardo da Vinci era la principale nave da guerra della Regia Marina, come si chiamava allora la marina militare italiana.

Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, l’Urss aveva preteso quella nave come riparazione ai danni di guerra, insieme alla nave scuola Cristoforo Colombo (gemella del Vespucci) e altre imbarcazioni come l'incrociatore Duca d'Aosta, i cacciatorpediniere Artigliere e Fuciliere, le torpediniere Ardimentoso, Animoso e Fortunale, i sommergibili Nichelio e Marea.

Una cessione vissuta come un’onta da tutta l’Italia, all’epoca dei fatti, soprattutto per quanto riguardava il Cristoforo Colombo e il Giulio Cesare.

Il Novorossiysk compì le normali operazioni di attracco, con l’unica differenza di essere ormeggiata alla boa 3 del porto di Sebastopoli invece dell’abituale boa 12. Dopo le consuete manovre di fine missione, la sera lasciò spazio alla notte e, a parte i marinai di guardia, tutti dormivano a bordo e nel porto alle ore 01.31 e 29 secondi.

Un’esplosione talmente potente da essere registrata sui sismografi della Crimea

Alle ore 01.31 e 29 secondi i sismografi della Crimea registrano una forte scossa a Sebastopoli: non è un terremoto, ma una potentissima esplosione che ha squarciato la chiglia del Novorossiysk all’altezza della quarantaduesima paratia.

Una deflagrazione che, a posteriori, sarà calcolata nell’equivalente di 1.200 chili di TNT. Viktor Saltykov, un artigliere antiaereo imbarcato a bordo della corazzata e sopravvissuto all’affondamento, raccontò che “nonostante fossi in cuccetta a 100 metri dal punto dell’esplosione, io e i miei compagni fummo sbalzati fuori dalle brande sospese, quando ci siamo rialzati la nave era già talmente inclinata da far fatica a restare in piedi”.

In effetti lo squarcio aperto dalla deflagrazione è enorme: 22 metri di lunghezza e 340 metri quadri di superficie, e copre entrambi i lati della chiglia. L’acqua entra rapidissima e in tre minuti lo scafo è già inclinato, sono già morti tra i 150 e i 175 membri dell’equipaggio: dopo circa 30 minuti, il comandante delle operazioni della Flotta, il capitano di primo rango Ovcarov, ordina di trascinare la nave in un punto con fondale poco profondo.

Le operazioni hanno inizio ma la nave continua a imbarcare acqua perché l’equipaggio, per evitare esplosioni, ha allagato alcuni ponti dove sono custodite le munizioni e tutto questo fa sì che alle 2.32 il Novorossiysk inizi a inclinarsi a tribordo. Dopo soli 10 minuti, l’inclinazione arriva a 17 gradi: il capo di Stato Maggiore della Flotta del Mar Nero, contrammiraglio Nikolaj Ivanovič Nikol'skij, chiede al comandante della Flotta del Mar Nero Viceammiraglio Viktor Aleksandrovič Parchomenko, e al Viceammiraglio Nikolaj Michajlovič Kulakov, del Consiglio militare della Flotta del Mar Nero, di far evacuare i marinai non necessari alle operazioni, ma riceve risposta negativa.

Gli alti comandi, infatti, non conoscono la realtà del porto di Sebastopoli, dove il fondale solido è coperto da uno strato di 15 metri di fango, e pensa che sia sufficiente portare la nave in un punto con pochi metri d’acqua.

Un errore che costerà centinaia di vite umane: alle 4.15, due ore e 45 minuti dopo l’esplosione, il Novorossiysk si capovolge e inizia da affondare. L’albero si pianta nel fondale ma non trova resistenza e lo scafo si inabissa inesorabilmente. Centinaia di marinai sono rimasti intrappolati: molti erano in acqua e sono stati coperti dallo scafo durante il capovolgimento, altri sono bloccati nei compartimenti. Alle 22.00 il Novorossiysk è completamente sott'acqua: ha portato con sé le vite si 604 marinai, compresi alcuni delle navi di soccorso. I sommozzatori salvano solo nove tra gli intrappolati: sette dopo cinque ore dal ribaltamento, tagliando la chiglia nella zona di poppa, altri due rimasti intrappolati in una sacca d’aria e sopravvissuti per 50 ore.

La versione ufficiale: una mina tedesca non bonificata

La commissione d’indagine nominata dal Pcus, il Partito comunista dell’Unione Sovietica, determinò che l’esplosione era stata causata da una mina magnetica tedesca della seconda guerra mondiale, rimasta nascosta nel fango del fondale. Versione che non convince del tutto: anche se nei mesi successivi all’incidente vennero recuperate ben 19 mine dal fondo della baia di Sebastopoli, rimane il fatto che il giorno dell’esplosione erano trascorsi 11 anni dall’ultima presenza tedesca nel porto, ma le batterie magnetiche dell’epoca avevano una vita massima di nove anni.

Anche secondo diversi sopravvissuti non si trattò di una mina, ma di un sabotaggio.

Sempre secondo l’artigliere Saltykov, nessuno diede mai veramente retta alla versione ufficiale di Mosca: “Tutti marinai e gli ufficiali del Novorossiysk erano convinti che si fosse trattato di un’azione di sabotaggio. Anche i sommozzatori intervenuti non trovarono mai alcuna traccia di mina tedesca, né sullo scafo né sul fondale”.

E qui arriva l’ipotesi più suggestiva: l’esplosione è stata frutto di un’azione di incursori italiani. Non incursori qualunque, ma reduci della Xma Flottiglia Mas, militari esperti in azioni di sabotaggio, protagonisti di azioni leggendarie durante il secondo conflitto mondiale come l’attacco nella Baia di Suda e l’impresa di Alessandria nel 1941, quando affondarono le navi inglesi Queen Elizabeth e Valiant, oltre a privare la Gran Bretagna delle sue navi da battaglia nel Mediterraneo per lungo tempo.

L’ipotesi della “vendetta” della Xma Mas

La versione alternativa della vicenda è ricostruita nel libro “Il mistero della corazzata russa. Fuoco, fango e sangue”, scritto dal ricercatore Luca Ribustini e corredato da documenti della Marina Militare e del Ministero dell’Interno, oltre a materiale declassificato della Cia. E soprattutto, da un’intervista a Ugo D’Esposito, ex incursore del mitico Gruppo Gamma della Xma Mas, esperto di codici cifrati, agente dei servizi segreti. La sua risposta, contenuta nel libro, è semplice e schietta: “Siamo stati noi, noi della Decima Mas. Nessuno voleva che il Giulio Cesare andasse ai sovietici, quindi doveva essere affondata. Io non ho partecipato direttamente all’azione contro il Novorossiysk, ho partecipato a un'azione per affondarne un’altra: ma quella volta c’era sicuramente Eugenio Volk, il comandante del Gruppo Gamma, e Junio Valerio Borghese, comandante della Xma, ne era certamente informato.

Non servivano tanti uomini per portare a termine la missione, il gruppo era composto da cinque incursori, non di più, perfettamente addestrati”.

Versione accreditata anche nel libro “Requiem per una corazzata” dello storico russo Nikolaj Cherkashin (che arriva persino a citare i nomi dei protagonisti dell’azione: comando affidato a Eugenio Wolk, operativi veterani di guerra come Gino Birindelli, Elios Toschi, Luigi Ferrario, coordinamento di Valerio Borghese) ma mai ufficialmente ammessa.

Eppure possibile. Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, i componenti della Xma Mas erano richiestissimi dalle marine militari di tutto il mondo. Vennero ingaggiati da Israele, India, Stati Uniti, Argentina, Spagna, Marocco e altri, per addestrare i loro incursori e insegnare le tattiche da loro ideate e attuate: una piccola nave o un sommergibile come appoggio, siluri a lenta corsa (i famosi “maiali”) con a bordo due sommozzatori ciascuno con tuta e autorespiratore Pirelli; una carica esplosiva piazzata sotto la chiglia in posizione strategica, poi la fuga o la morte degli assaltatori.

Tutto quanto poteva essere stato messo in atto per affondare il Novorossiysk: gli incursori, secondo il libro, sarebbero stati richiamati dallo stesso Borghese, imbarcati come civili sul piroscafo Acilia, diretto da Brindisi a Sebastopoli con a bordo grano, arance e ferro. Una volta in Crimea, il commando avrebbe agito conoscendo perfettamente le caratteristiche della corazzata e persino del porto di Sebastopoli: l’esplosione avvenne in corrispondenza della 42ma paratia, un punto critico perché nel 1937 la nave era stata allungata di 10 metri con una nuova prua, sovrapposta a quella vecchia, un punto dove il nuovo incontrava il vecchio e dove erano presenti numerose saldature. In più, la Xma Mas aveva una base operativa a Sebastopoli dal 1942 al 1943.

Non va dimenticato quanto accadde nel 1948: quando si seppe della cessione del Giulio Cesare all’Urss, parte dell’equipaggio della corazzata tento di autoaffondarla perché non venisse mai ceduta ai sovietici. Inoltre, alcuni appartenenti al Far (Fasci di azione rivoluzionaria) e reduci della Xma Mas erano stati arrestati per prevenire l’affondamento del Cristoforo Colombo, pianificato per la stessa ragione: impedire che una nave italiana fosse consegnata all’Urss.

Il peso di oltre 600 morti

Probabilmente, la ritrosia dei presunti protagonisti di questa azione risiede nell’elevato numero di vittime umane. Se l’affondamento era stato pianificato, non si poteva fare lo stesso per quanto poteva riguardare la reazione sovietica: l’imperizia dei più alti ufficiali della Flotta del Mar Nero è probabilmente la vera causa di così tante vittime. Un intervento tempestivo avrebbe permesso di trainare il Novorossiysk su fondali sicuri e impedirne il rovesciamento, anche se ormai la nave era divenuta irrecuperabile.

Difficilmente avremo mai risposte definitive: il nocchiere scelto Ugo D’Esposito è morto il 19 giugno del 2014. Ha raggiunto Gino Birindelli, Teseo Tesei, Elios Toschi, Luigi Durand de la Penne e tutti compagni della gloriosa Xma Flottiglia Mas. Riposano insieme ai 604 compagni sovietici morti nel Novorossiysk, divenuto la loro grande tomba d’acciaio, portando forse con loro il segreto dell’ultima, incredibile impresa degli assaltatori subacquei italiani.