Francia: la LMDE (la mutuelle des étudiants), una mutua dedicata agli studenti, ha previsto un rimborso parziale (pari a 25 euro annui) per le spese legate al ciclo mestruale quali assorbenti, tamponi interni, coppette e simili.
La notizia, per quanto possa in apparenza sembrare di assoluta irrilevanza sul panorama internazionale, offre, in realtà, molteplici spunti di riflessione.
Primo fra tutti, l’aspetto della tassazione dei prodotti igienico-sanitari per il ciclo mestruale, in Francia tassati al 20%, a differenza, ad esempio, delle bibite gassate, le quali vengono tassate al 5%, in quanto considerate “beni di prima necessità”.
E in Italia?
Il Bel Paese addirittura considera assorbenti e simili beni di lusso, tassati con un IVA pari al 22% come viaggi, trattamenti estetici e gioielli.
Che un bene indispensabile quale un pacco (o più) di assorbenti e tamponi interni venga considerato (e quindi pagato) come fosse un bene “per pochi”, uno sfizio, un lusso di cui può anche farsi a meno, spiega allora perché la notizia che in Francia studentesse e non (sono infatti incluse anche madri e sorelle di studenti maschi) potranno usufruire di questo rimborso, non è poi così irrilevante e non merita, perciò,di restare circoscritta entro i suoi confini nazionali.
Un piano di distribuzione gratuita di assorbenti era già stato avviato in Scozia, dove per sei mesi sono stati distribuiti prodotti per l’igiene intima femminile nella città di Aberdeen, prodotti di cui hanno potuto beneficiare più di mille donne con un basso reddito.
Quando, invece, in Italia, nel gennaio 2016, i deputati di Possibile, partito nato dalla fuoriuscita di Giuseppe Civati dal Pd, hanno depositato una proposta di legge per la riduzione dell’aliquota IVA dei suddetti prodotti igienico-sanitari al 4%, quest’ultima è miseramente finita nel dimenticatoio, accompagnata da battute e commenti infelici che hanno finito per far sembrare la “Tampon Tax” un affare dalla scarsa credibilità ed urgenza.
Lo stesso paese in cui il divario di remunerazione tra uomini e donne è pari al 10,9%).
Arrivata a più di 31mila firme, ma poi subito chiusa, anche la petizione avviata su Change.Org dal titolo “le mestruazioni non si tassano: IVA al minimo sugli assorbenti”.
Che l’argomento possa far sorridere è il segno più fulgido di quanto un tema di ordine “femminile” acquisisca sempre una sub-valutazione e che essere donna rappresenti ancora una “diminutio”, proprio perché aleggia la convinzione che la stessa recrimini futili diritti da “isterica e capricciosa mestruata”.
Purtroppo no, i prodotti di igiene intima femminile non sono un bene voluttuario semplicemente perché avere il ciclo non è un piacere.
Non è un piacere, ma non è neanche un disonore. E qui giungiamo al secondo spunto di riflessione.
Il tabù
Ciclo mestruale, chiamiamolo col suo nome. Parlare di mestruazioni è ancora un tabù, un argomento scomodo, imbarazzante, su cui non soffermarsi troppo e se lo si fa sempre a bassa voce.
Pleonastico, forse, ricordare tutte quelle religioni e culture per cui esso è sinonimo di impurità: la donna mestruata, come fosse stata “maledetta” per quei 5-6 giorni, porta con sé quell’alone di “sporco” quasi demoniaco che deve essere nascosto, isolato, purificato.
Laddove nascondere, isolare, purificare, significa spesso ledere diritti della donna quali quello alla salute (sono stati riportati casi, ad esempio in Somalia, dove donne erano costrette a scavare buche e a restarvi rannicchiate, aspettando che il tempo defluisse esattamente come il sangue tra le loro gambe), o ancora quello all’istruzione, dal momento che molte ragazze, per vergogna o per esplicito divieto, non si recano a scuola per l’intera durata della loro “maledizione”.
Facile però andare lontano, cercare sempre la colpa, la differenza, l’inferiorità nell’altra cultura. In Italia e in tutto l’occidente il tabù ancor prima che culturale o religioso è linguistico, iconografico, psicologico.
“Le mie cose”, “le brigate rosse”, “il marchese”… innumerevoli gli appellativi, gli pseudonimi, gli eufemismi per chiamare (o forse per non chiamare) una cosa naturale (e scientifica) tanto quanto una bocca che emette un suono, un arto che si muove, un sole che tramonta.
Per non parlare delle pubblicità ad opera delle grandi aziende produttrici di assorbenti e affini: il flusso viene rappresentato come qualcosa di leggero, quasi trasparente, l’atmosfera si dipinge di soavi colori tenui come un timido azzurrino o un rosa che non sia mai diventi rosso, rosso sangue.
Tutto questo per non scandalizzare un pubblico di spettatori abituato a guardare, anche con gusto, qualsiasi orrore, qualsiasi squallore, ma che si indegna proprio davanti alla natura.
Se la sfida internazionale è allora quella di intervenire per l’abbassamento dell’ IVA da bene di lusso a bene di prima necessità sui prodotti igienico-sanitari per il ciclo mestruale, e per la loro gratuita distribuzione per chi non può permetterseli, la sfida più grande deve essere superare un infondato tabù, considerare naturale ciò che è naturale e che a farlo siano in primo luogo le donne.
Ciclo mestruale, chiamiamolo col suo nome.