Dal 2000 ogni anno Interbrand pubblica la classifica dei marchi più potenti al mondo - mette cioè in fila i brand con il più alto valore stimato.
La classifica di quest'anno è stata pubblicata da poco, e per la verità offre molteplici spunti di riflessione particolarmente significativi.
Avvicendamenti di vetta e di settore: tecnologia e automotive
Tanto la vetta della classifica quanto gli altri marchi che si spartiscono le prime cento posizioni lanciano segnali chiari su quali siano i settori in ascesa.
Sale sempre più veementemente la tecnologia: addirittura sei delle prime dieci posizioni sono occupate da marchi che provengono dal settore, con lo storico sorpasso rispettivamente di Apple e Google al primo e secondo posto ai danni di Coca-Cola, numero uno da quando esiste la classifica (oltre alle due fuoriclasse in cima, pure IBM al quarto posto, Microsoft al quinto, Samsung all'ottavo e Intel al nono).
Fa bene - per fortuna verrebbe da aggiungere, considerando i gravi travagli del recente passato - anche il settore dell'automotive, con Toyota, Mercedes e BMW che tallonano la compagine di brand hi-tech che affolla le posizioni più nobili.
Il settore pare stia riuscendo a rimettersi in carreggiata, se si considera che nove dei quattordici brand in classifica crescono a doppia cifra.
Le italiane e il lusso
Oltre a Ferrari, alla posizione numero novantotto, gli altri due marchi italiani in classifica fanno parte di uno fra i pochissimi settori anticiclici che nell'ultimo decennio - soprattutto grazie all'ascesa dei mercati emergenti, e quindi grazie all'export - non è stato minimamente impattato dalla recessione globale, ma che ha anzi beneficiato di un significativo sviluppo: il lusso.
Secondo Fondazione Altagamma e Bain&Co.
il settore nello specifico ha registrato un incremento quasi triplo del suo valore complessivo nell'ultimo quindicennio: le proiezioni future sono altrettanto rosee.
Il primo dei due marchi italiani è Gucci, la cui proprietà per la verità è francese (in particolare del gruppo Kering, gigante conglomerato del lusso in diretta competizione con LVMH), ma la cui tradizione, origine e allure é tipicamente nostrana.
Il secondo é Prada, brand in pancia all'omonima holding (assieme a MiuMiu, Church's e Carshoe) che non ha subito passaggi di mano stranieri di sorta e che mantiene dunque proprietà italiana.
L'ascesa di Prada
Proprio quest'ultimo è fra i cinque brand 'top riser', e cioè che sono cresciuti in assoluto di più all'interno della classifica: il suo valore è aumentato addirittura del 30% rispetto all'anno precedente, e la scalata del marchio gli ha consentito di guadagnare ben dodici posizioni (nel 2011 il marchio non compariva nemmeno in classifica, ora é 72esimo).
Global Trend Setter
Basta guardare i numeri della maison milanese, peraltro quotata a Hong Kong, per comprendere le ragioni della scalata.
Il recente cambio di marcia di Prada é da ricondursi soprattutto alla capacità di essere riuscito ad imporsi come il vero trend setter di settore: é infatti il suo trendy design, rinnovato e reinventato stagione dopo stagione e abbinato all'altissima qualità, ad essere fra i più chiacchierati, attesi, discussi e riconosciuti.
Tra il 2012 e il 2013 il gruppo ha aperto 150 nuovi store nel globo, raggiungendo i 500 negozi.
Prada ha inoltre iniziato da una dozzina di anni ad inaugurare i cosiddetti epicentre concept stores, cioé dei veri e propri templi del lusso atipici e con design molto differenti dai negozi monomarca tradizionali, vera e propria manifestazione della forza del brand.