La Troika, formata da Commissione europea, BCE e FMI, ha sempre cercato di negoziare con la Grecia mantenendo costante l'illusione di poter raggiungere un risultato positivo, finanziando banche e governo ellenico per poi fare finta di niente. Molti economisti hanno da sempre criticato questo metodo scellerato di dare soldi alle banche greche che, di fatto, hanno ricevuto il 90% degli aiuti economici dalla Troika mentre il governo ne ha ottenuti solo il 10%. Le banche greche, in passato, hanno elargito prestiti a destra e a manca, senza alcun controllo sullo stato di solidità finanziaria del cliente.

Il debito greco risente soprattutto di questo aspetto, non certo per le pensioni o le politiche sociali in generale.

Lucrezia Reichlin, Elias Papaioannou e Richard Portes della London School of Economics si dichiarano critici nei confronti delle decisioni prese dalla Troika negli ultimi anni. Il loro pensiero è chiaro: "Aver esteso negli anni scorsi i finanziamenti per la Grecia significava solo che il governo ellenico avrebbe continuato forse a pagare il programma di interessi e di rimborso, ma si sbagliavano a pensare che il paese sarebbe mai stato in grado, un giorno, di restituire l'intero importo del prestito".

Un debito pubblico impagabile

Il debito pubblico greco alla fine del 2014 era di circa 317 miliardi di euro, il 177,1% del prodotto interno lordo (PIL) secondo Eurostat.

Le richieste contenute nell'ultima proposta della Troika, prima della rottura dei negoziati, hanno solo contribuito a ritardare il fallimento della Grecia e ad aggravare ulteriormente il problema. La stragrande maggioranza degli economisti, a eccezione di quelli legati alla Troika, concordano sul fatto che il salvataggio e le riforme imposte alla Grecia si sono sempre basate su approcci 'non corretti e irrealistici'.

Dal 2010, cioè da quando ha avuto inizio il piano di aiuti della UE e dopo le riforme che sono state previste dai governi precedenti a quello presieduto da Alexis Tsipras, il PIL greco è sceso del 25%, aggravando di molto l'onere del debito pubblico. Le riforme hanno provocato il calo degli investimenti del 65%, la disoccupazione è aumentata del 25%, i salari reali si sono ridotti del 17,2%, le prestazioni sociali sono diminuite del 40% e l'aumento della povertà è oggi pari al 33,7% della popolazione adulta.

Tutto ciò ha ostacolato la ripresa economica e la conseguente riduzione del debito.

Il 90% dei finanziamenti alla Grecia, che miravano al 'salvataggio', sono stati utilizzati invece per pagare i creditori, senza alcun beneficio per l'economia del paese. La maggior parte dei fondi del primo salvataggio, pari a 110 miliardi di euro, sono stati utilizzati per mantenere vivo il debito e consentire alle banche europee di disporre dei titoli greci senza gravi perdite e ricapitalizzarsi, una volta di più, a spese della Grecia. Per il secondo 'salvataggio' sono stati finanziati alla Grecia 130 miliardi di euro, soldi che principalmente hanno contribuito a ricapitalizzare la riduzione del debito bancario e finanziario greco nei confronti degli investitori privati ​​stranieri.

Il debito pubblico greco, che prima era in mano ai privati, ora è sostanzialmente in mano agli Stati della zona euro: al Fondo europeo di stabilità finanziaria, alla BCE e al FMI. Le obbligazioni, che rappresentava il 91,1% del debito greco nel 2009, ora rappresenta solo il 20,6% del totale.

Il motivo principale per il NO al referendum greco

Che il debitore paghi il creditore è un diritto innegabile, un fatto logico e corretto, ma quando si gioca sulla pelle di un intero popolo, anche questo concetto perde il suo significato originario per dare spazio a riflessioni molto più profonde. Non a caso molti economisti del mondo, fra loro anche alcuni Premi Nobel, sono a favore del 'NO' al referendum del 5 luglio.