“Dalla Grande Recessione alla ripresa? Segnali positivi, ma fragili”. S’intitola così lo studio del 9 giugno dell’Ufficio Studi Confcommercio che ha messo in risalto l’aumento del 78,5% di famiglie assolutamente povere. Il potere di acquisto (per dirla in termini economici) è sceso drasticamente negli anni della crisi, con un conseguente “violento calo dei consumi”. Sulle tavole degli italiani c’è sempre meno cibo sano, perché il cibo sano costa di più. Le conseguenze: malattie cardiovascolari, insufficienze, obesità, soprattutto infantile. I bambini obesi negli ultimi dieci anni, secondo un’inchiesta di “Presa Diretta” del 6 marzo scorso intitolata 'Sazi da morire', sono aumentati in maniera sconcertante.

L’Italia è seconda solo agli Stati Uniti.

Povertà, mangiare male, ammalarsi, spesa per curarsi, povertà

L’indigenza è figlia della crisi, non c’è dubbio, ma ne diventa a sua volta una delle cause, considerando l’enorme spesa sanitaria che ne consegue. Mangiare male provoca malattie: malattie dei reni, del sangue, del cuore, cancro, per fare qualche esempio, e queste malattie devono essere curate. È un circolo vizioso che incide in termini sanitari sulla spesa nazionale.

Tornando a Confcommercio, “il reddito pro capite è diminuito, si è registrato un generale impoverimento dei cittadini ed è aumentata in modo considerevole la quota di famiglie in condizione di povertà assoluta". I poveri assoluti sono 4 milioni, l’incremento in 7 anni è di circa il 130%.

I dati sono coerenti con la ricerca di febbraio scorso del Mic (Misery Index Confcommercio) che aveva analizzato la povertà, in costante aumento.

Ma cosa significa ‘povertà assoluta’?

Secondo i dati Istat (tenendo conto della differenza tra una grande città e un piccolo centro) una famiglia “è assolutamente povera se la sua spesa media mensile risulta inferiore alla soglia minimamente accettabile di 1,281 euro – mentre – se risiede in un piccolo comune (meno di 50mila abitanti) la soglia minima accettabile scende a 1,166 euro al mese”.

Che relazione c’è tra l’impoverimento degli italiani e il libero mercatointernazionale? Quanto è costato a una famiglia siciliana dover rinunciare a comprare nel mercatino sotto casa le arance coltivate nella sua terra ed essere costretta a scegliere tra prodotti sudamericani, africani, spagnoli nel supermercato in centro, mentre le arance vengono spedite in altri paesi dell’Unione Europea o buttate nell’immondizia? E quanto ha a che fare il calo del nostro potere d’acquisto con l’aumento del costo dei prodotti?