Anche se sui media mainstream l’atmosfera di alta tensione tra le due anime del governo Gentiloni non viene minimamente segnalata, tra renziani e gentiloniani sarebbe in corso una battaglia senza esclusione di colpi sulla prossima manovra economica. Da una parte c’è la fazione rappresentata dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e dal titolare del dicastero dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, ex pupillo di Matteo Renzi. I tre sarebbero propensi a varare un piano di aumento di tasse e a far ripartire le privatizzazioni di società pubbliche come Poste e Trenitalia, in nome della cosiddetta stabilità richiesta dall’Unione Europea.
Si vocifera addirittura di un piano lacrime e sangue da 35 miliardi di euro nei prossimi due anni, come scritto nel Documento di Economia e Finanza (Def). Padoan starebbe pensando persino ad un aumento dell’iva di un paio di punti, già previsto da Renzi come clausola di salvaguardia, ma visto adesso come l’aglio per i vampiri. A questo modus operandi si contrappongono le truppe renziane che, a Palazzo Chigi, possono contare sul ministro dello Sport, Luca Lotti, sul sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi, e sul ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio. Troppo alto il rischio di giocarsi le primarie Pd del 30 aprile e le prossime elezioni politiche. Sulla manovra economica “c’è troppa continuità con gli anni di Renzi”, dichiara oggi su Repubblica lo scissionista Roberto Speranza.
“Il paese sta pagando le marchette elettorali di Renzi”, commenta ‘dall’esterno’, descrivendo plasticamente lo stato dei fatti, il governatore della Liguria Giovanni Toti di FI.
Orfini e Renzi contro Calenda
La misura della rudezza dello scontro politico in atto la danno direttamente le dichiarazioni dei protagonisti. Esemplare è l’intervista rilasciata da Matteo Orfini a La Stampa il 13 aprile, subito dopo l’approvazione della ‘manovrina’ da 3,4 miliardi che serve a coprire i buchi lasciati dall’ultima Finanziaria ‘elettorale’ del governo Renzi.
“Sono intervenuto quando mi sono reso conto che scelte enormi per il Paese si stavano prendendo fra tre persone, senza una discussione”, dichiara al quotidiano torinese il presidente e attuale reggente del Pd. Le ‘tre persone’ in questione sarebbero, appunto, Gentiloni, Padoan e Calenda. Per il momento, a sentire Orfini, pare che i tre reprobi si siano rimessi sulla retta via renziana.
Ma, avverte l’ex giovane turco, nella legge sulla concorrenza, sulla quale sarà posta la fiducia in Senato la prossima settimana, “ci sono tante misure utili, ma anche altre che suscitano perplessità, come le liberalizzazioni del settore energia” che rischiano di danneggiare i consumatori “producendo un aumento delle bollette”.
L’avvertimento orfiniano nei confronti di Calenda giunge dopo la rottura di quest’ultimo con Renzi che, non a caso, pochi giorni fa lo aveva scaricato così: “Lo vedo bene come leader del centrodestra”. Bocciatura a cui Calenda aveva risposto a tono dichiarando che “la fedeltà, quando uno fa il ministro, la giura alla Costituzione”. Da segnalare, infine, anche lo scontro tra Padoan e Delrio andato in scena giovedì scorso in Cdm.
I gentiloniani, insieme alla avvenuta fusione tra Anas e Fs, avrebbero voluto quotare (per venderne una parte) Trenitalia e Poste. Operazione stoppata dal viceministro allo Sviluppo economico, Antonello Giacomelli, e dal succitato Delrio.