La legge Fornero, secondo Tito Boeri, non andrebbe toccata: altrimenti, con una riforma delle Pensioni basata sull’introduzione della cosiddetta “quota 100” per l’uscita dal lavoro, saranno guai per donne e giovani, mentre il debito aumenterà inesorabilmente. Non ci pensa due volte, il presidente in carica dell’INPS, prima di bocciare in via definitiva uno dei punti chiave della prossima manovra economica, al centro del programma elettorale della Lega e del contratto di governo firmato alla vigilia dell’insediamento di Conte a Palazzo Chigi da Salvini e Di Maio.

Durante l’audizione a Montecitorio in commissione Lavoro, il massimo dirigente dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale si è espresso a chiare lettere contro la misura annunciata dal ministro Tria, vista come “un’operazione che farà aumentare la spesa”, con l’effetto collaterale di “minare alle basi la solidità del sistema pensionistico”.

Riforma Fornero, per Boeri la legge non va cambiata

Scendendo nei dettagli del provvedimento, Boeri ha parlato di “100 miliardi di debito in più” da mettere in conto insieme al previsto incremento di “un punto di PIL” della spesa complessiva dello Stato per le pensioni di tutti gli italiani. Come se non bastasse, ad avviso dell’economista bocconiano, sullo sfondo dello scenario che si sta per aprire con il superamento della legge Fornero c’è una discriminazione di genere, a danno delle tante lavoratrici “tradite da requisiti contributivi elevati e dall’aver subito sin qui, con l’opzione donna, riduzioni dei trattamenti”.

Insomma, si tratterà (questa è la previsione del presidente dell’INPS) di far gravare sulle future generazioni e sulla componente femminile del mondo del lavoro “pesanti sacrifici” destinati a ripercuotersi negativamente, ben presto, sull’intero sistema.

Il presidente Inps sulla Legge Fornero: 'Sbagliato cambiarla con quota 100'

Gli unici vantaggi della riforma in cantiere, a detta di Tito Boeri, riguarderanno quindi soltanto “gli uomini con redditi medio-alti e i dipendenti del settore pubblico", ma il gioco, lascia intendere l’esperto di politiche previdenziali ascoltato dalla commissione Lavoro della Camera, non varrebbe in nessun caso la candela.

Intanto il governo, le cui stime sono di segno opposto rispetto a quelle esposte dal numero 1 dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, continua a lavorare sulla strada dell’introduzione di “quota 100” con uscita a 62 anni e 38 di contributi versati, nella convinzione che un simile meccanismo favorirà l’occupazione (sia nel settore pubblico che nel privato) attraverso il contestuale sblocco del turn over per migliaia di posti.