Le Società di Recupero Crediti non possono tempestare di telefonate di sollecito un debitore insolvente. Questo comportamento, infatti, secondo la sentenza n°29292/2019 della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, integra il reato di molestia. Infatti, per il Supremo Collegio la ricerca del profitto non può in nessun caso essere anteposta o considerata superiore alla necessaria esigenza di rispettare le persone e la loro privacy.
I fatti alla base della decisione della Cassazione
Gli Ermellini si sono trovati a giudicare la vicenda di un cliente di una società elettrica al quale era stato interrotto il contratto di fornitura di energia elettrica, in quanto lo stesso risultava moroso nel pagamento di alcune Bollette.
La pratica era stata affidata, come accade oramai molto spesso, ad un'agenzia di recupero crediti. I vari collaboratori dell'agenzia hanno iniziato immediatamente a contattare il debitore per sollecitare il pagamento delle fatture. Ma hanno fatto questo in maniera eccessivamente insistente. Infatti, come denunciato dal debitore stesso, gli agenti della riscossione lo contattavano telefonicamente almeno 8-10 volte al giorno in qualsiasi orario.
Per tali motivi il debitore ha intentato causa contro il titolare dell'agenzia di recupero crediti per non aver vigilato correttamente sull'attività di sollecito dei propri collaboratori. Il Tribunale di merito, tenendo conto dell'atteggiamento tenuto dagli agenti della riscossione durante i contatti, della loro frequenza e degli orari in cui questi avvenivano, ha ritenuto applicabile a tali comportamenti l'articolo 660 C.P.
che disciplina il reato di "molestia e disturbo alle persone". L'articolo 660 del Codice Penale, infatti, evidenzia come chiunque reca disturbo o molestia ad un altro anche con l'utilizzo del telefono è punito con l'arresto fino a 6 mesi o con un'ammenda fino a 516 euro.
Contro questa decisione del Tribunale di merito, il titolare dell'agenzia di recupero crediti ha presentato ricorso in Cassazione adducendo diverse motivazioni tra cui, ad esempio, il travisamento della prova in relazione all'articolo 660 C.P.
Infatti, secondo il ricorrente, dai tabulati telefonici dell'agenzia di recupero si poteva evincere chiaramente che il debitore non era stato vessato o contattato con petulanza. Ma era stato chiamato al massimo due volte al giorno e in orari compresi tra le 9:00 e le 16:00 ad eccezione di tre volte in cui era stato chiamato nelle prime ore della sera. E questo nell'arco di due mesi.
La decisione degli Ermellini
Il Supremo Collegio ha rigettato il ricorso del titolare dell'agenzia di recupero crediti. Per gli Ermellini, infatti, i motivi presentati nel ricorso sono infondati o non consentiti. Infatti, i tabulati telefonici dell'agenzia di recupero crediti sono stati ritenuti inammissibili, in quanto al ricorso non è stata allegata copia degli atti. Per la Cassazione, inoltre, nel caso di specie l'illiceità dell'azione è derivata dalla scelta, presumibilmente compiuta dalla governance aziendale di ricorrere ad insistite e pressanti iniziative volte al recupero del credito, anteponendo la ricerca del profitto al rispetto dell'altrui diritto al riposo e a non essere disturbato. Inoltre, come affermato dal Tribunale di merito e confermato dal Supremo Collegio, l'elevata frequenza delle telefonate quotidiane integra il biasimevole motivo indicato nell'articolo 660 C.P. che, quindi, trova piena applicazione.