Nelle ultime settimane lo smart working è diventato il nuovo modo di lavorare per la maggior parte degli Italiani, diretta conseguenza questa della diffusione del Coronavirus sul territorio italiano con conseguente obbligo di restare a casa. Quello che stiamo vivendo è un vero esperimento sociale che potrebbe rivoluzionare il mondo del lavoro. A sperarlo in prima linea anche Domenico De Masi, professore emerito di Sociologia del lavoro all’università La Sapienza di Roma.
Smart working, secondo De Masi è il modo migliore di lavorare
Smart working (o lavoro agile): questo nuovo termine sta a raccontare la situazione insolita che molti lavoratori dipendenti italiani stanno vivendo in questi giorni di emergenza Coronavirus.
Le decisioni del governo hanno infatti imposto a tutta la popolazione italiana di restare chiusi in casa e di uscire solo per fare la spesa, per andare a lavoro e per altre esigenze gravi e necessarie. E così molte aziende hanno attuato lo smart working. Ma in cosa consiste?
Lo smart working altro non è che la possibilità di lavorare da casa come se si fosse in ufficio: tramite una connessione in remoto del proprio pc con il server aziendale è possibile infatti continuare ad essere produttivi anche stando comodamente sul proprio divano.
Il professor De Masi è ritenuto il pioniere di tale modalità lavorativa: già 40 anni fa fondò la SIT, la Società Italiana Telelavoro, convinto che il settore sarebbe decollato nel giro di poco tempo.
Purtroppo non fu così. A distanza di 40 anni, però, De Masi sembra vedere uno spiraglio: come spesso accade, era necessaria una crisi o un'emergenza per scatenare una rivoluzione.
Smart working, perchè in Italia è ancora poco diffuso
Prima della diffusione del Coronavirus gli smart workers in Italia nel 2019 erano 570 mila con una crescita del 20% rispetto al 2018.
Oggi il numero è nettamente cresciuto a causa dell'esigenza di dover rimanere a casa e la speranza è quella che i risultati (sicuramente positivi) di tale modalità lavorativa possano rivoluzione il mondo del lavoro. Purtroppo in Italia fino a poco tempo fa si registrava solo un 3% di smart workers, concentrati principalmente nelle grandi aziende, contro il 40% dell'Olanda.
Il nostro paese è ancora una volta indietro rispetto al resto dell'Europa e il professor De Masi spiega perchè.
Secondo De Masi vi sono due motivi alla base della poca diffusione dello smart working in Italia: il primo è legato ad una resistenza dei datori di lavoro al cambiamento e ad una poca volontà di rischiare; il secondo prende il nome di Sindrome di Clinton: i datori di lavoro vogliono infatti avere i dipendenti sotto controllo perchè non si fidano e si sentono depauperati del loro ruolo, proprio come il presidente Clinton aveva bisogno di una stagista al suo fianco.
Il concetto alla base dello smart working è che le aziende devono necessariamente attuare una trasformazione, passando da un'organizzazione di processo, in cui il capo controlla il dipendente in ogni suo passo, ad un'organizzazione di obiettivo, in cui ciò che conta è il raggiungimento dell'obiettivo lavorativo.
Non importa se tu lavori da casa, dalla spiaggia, di giorno o di notte, ciò che conta è il risultato.
Smart working, i vantaggi del lavoro agile
Sempre secondo quanto dichiarato dal professor De Masi, lo smart working ha notevoli vantaggi non solo per i dipendenti e per le aziende, ma anche per la comunità intera.
Se da un lato il dipendente è più libero, registrando un risparmio di tempo (meno tempo nel traffico) e di denaro (benzina,biglietti treno/aereo/bus), l'azienda registra anche una notevole riduzione dei costi aziendali (affitto per ufficio, utenze, mobili).
I vantaggi per la comunità sono molteplici: innanzitutto si riduce l'inquinamento, così come il rumore e il traffico e tutto questo comporta anche un costo minore per la manutenzione stradale.
Il mondo del lavoro non ha che da guadagnarci dallo smart working: si spera che l'emergenza Coronavirus cambi il modo di pensare di tanti dirigenti aziendali, attuando così una vera e propria rivoluzione.