Per la serie BlastingTalks intervistiamo Alberto Dal Sasso, Presidente IAA. L’International Advertising Association è un'associazione globale che rappresenta operatori di marketing, agenzie pubblicitarie e mass media. Con sede centrale a New York, ha sedi in 77 paesi.

Blasting Talks è una serie di interviste esclusive con business e opinion leader nazionali e internazionali per capire come la pandemia di coronavirus abbia accelerato il processo di digitalizzazione e come le aziende stiano rispondendo a questi cambiamenti epocali. Leggi le altre interviste della serie sul canale BlastingTalks Italia.

Iniziamo spiegando ai lettori di cosa vi occupate: com’è nata l’IAA e quale missione si pone nei confronti degli associati e della collettività?

IAA nasce a New York nel 1938 sul modello dei club anglosassoni per tutelare e aiutare lo sviluppo del mondo della comunicazione. Si è espansa poi nel mondo. Ad oggi siamo presenti in 77 Paesi e in tutte la aree del mondo, con oltre 4mila associati. È composta da professionisti e da aziende del mondo della comunicazione. Anche in Italia ha una storia variegata. Nasce nel 1965 muovendosi negli ultimi 50 anni nel mondo della comunicazione italiana. Personalmente mi sto occupando dall’associazione da cinque anni a questa parte, avendo portato avanti le diverse attività negli ultimi due mandati associati.

La nostra missione deriva da quanto è stato stabilito a New York: essere la global compass per la marketing communication industry. Cioè la bussola che individua e indica la direzione entro la quale si muove l’industria della comunicazione e del marketing.

Come si traduce la visione globale della vostra associazione in Italia e quali sono i valori che contraddistinguono i vostri associati?

C’è una vicinanza reale tra l’headquarter e i singoli Paesi. Quindi si seguono le linee guida indicate centralmente, declinandole nei vari territori. Nell’ambito del global compass l’associazione quest’anno ha chiesto di portare avanti otto punti. La creatività, perché crediamo ispiri le persone permettendo di risolvere temi legate alle singole persone e anche alle aziende, oltre che le sfide delle singole società nei diversi Paesi.

C’è la libertà di parola e comunicazione. Spesso diamo per scontato questa tematica in Occidente. Ma in alcuni Paesi dove le democrazie non sono così sviluppate, anche sostenere la libertà di comunicazione non è così scontato per le stesse aziende. C’è poi la advocacy. L’education e lo sviluppo professionale, sia a livello locale che internazionale. La collaborazione, perché noi siamo un’associazione e un network di professionisti che seguono pratiche volte a favorire la collaborazione tra i nostri associati e tra i nostri associati e l’esterno, oltre che con le istituzioni e i rappresentanti di settore. Gli altri quattro punti sono la sostenibilità, l’inclusione, l’equità, e la diversity.

A livello operativo, in che modo agite e quali sono le principali attività che svolgete in favore dei vostri associati?

Agiamo programmando interventi e progetti legati agli otto punti appena evidenziati. Abbiamo lavorato moltissimo sulla formazione, che riguarda in larga parte la comunicazione interna e le modalità utilizzate dalle aziende verso la propria forza lavoro e le nuove generazioni. Per attirare talenti è infatti necessario comunicare. Ad esempio, abbiamo avviato un progetto chiamato Phygital Work Manifesto, che ha prodotto una community pensata per aiutare le aziende a muoversi in questo ambito. Abbiamo costituito anche un pillar sull’inclusività e creato una serie di eventi durante l’anno, tutti in digitale. Non ultimo abbiamo messo insieme donne che ricoprono ruoli chiave nella comunicazione in Italia e abbiamo parlato di gender gap.

Un altro progetto su cui abbiamo portato le nostre energie è legato alle piccole e medie imprese. Next generations of Italian icons, un format pensato per favorire l’emergere di talenti in start up e PMI. Ma abbiamo collaborato anche con il mondo dell’arte e della pubblicità con un progetto chiamato Artvertising. Proprio per favorire il dialogo da punti di partenza molto diversi.

Qual è stato l’impatto della pandemia nel settore e qual è la fotografia della situazione rispetto ai dati e alle esperienze che vi vengono riportate dai vostri iscritti?

Un aspetto importante che abbiamo rilevato in tutti i campi, ma soprattutto nel mondo della comunicazione, è che nel settore la pandemia ha democraticamente influenzato allo stesso modo tutti i Paesi del mondo.

Parliamo del 2020, l’anno in cui la pandemia ha influito in maniera negativa nel mercato della comunicazione su tutta la filiera. Globalmente il mercato ha perso il 2%. In Italia molto di più, perché il settore della comunicazione si è contratto dell’11%. Questo fenomeno è stato superato velocemente. Già nel 2021 i livelli del 2019 sono stati superati e si prevede che quest’anno globalmente il settore crescerà quasi del 20%. In Italia recupererà tutto ciò che ha perso e si svilupperà tra il 13% e 14%. Quindi la pandemia ha causato sì un problema, ma ha dato anche l’occasione di un ulteriore sviluppo.

Com’è cambiato il ruolo dello stile creativo nel settore pre e post pandemia?

Lo stile creativo mi sembra essere tornato quello precedente.

C’è stato un cambiamento forte nei mesi e nelle settimane di pandemia, dove l’incertezza ha prevalso. Quindi abbiamo visto modalità di comunicazioni molto simili e stereotipate, ma anche più semplici perché durante il lockdown non si potevano girare film pubblicitari. Successivamente la comunicazione ha ripreso a essere quella che era in precedenza.

Recentemente avete lanciato una campagna a favore del targeted advertising, facendo riferimento esplicito al Digital Services Act: in tal senso, quali sono le vostre richieste ai referenti istituzionali?

Tra le tematiche di cui ci occupiamo ci sono anche le relazioni con le authority. In questo caso parliamo di provvedimenti che rispondono alla necessità di regolamentazione a livello europeo del mondo della comunicazione e della distribuzione digitale.

Abbiamo cercato di analizzare nel dettaglio le linee guida del digital services act, in particolare per la pubblicità targettizzata. Per evitare che quanto di buono fatto dall’industria in questo periodo non venisse fagocitato da un eccesso di zelo legislativo. Abbiamo partecipato a tantissimi convegni, perlopiù di stampo giuridico, dove siamo stati chiamati come professionisti di settore a dire la nostra. Cercando di far capire quanto possiamo per tenere alta l’attenzione sul tema della regolamentazione, perché la necessità di continuare a mantenere una fluidità e una crescita per l’industry va comunque a favore dei consumatori.

Negli ultimi tempi il vostro settore è stato caratterizzato da una forte accelerazione del cambiamento di paradigma che risultava già in essere proprio con il passaggio al digitale: come immagina il futuro della comunicazione pubblicitaria nei prossimi anni?

Il futuro lo stiamo già vedendo oggi. Per non andare tanto lontano, lo abbiamo visto con il cambiamento epocale deciso dalla Lega calcio sull’affidamento dei diritti. Un evento che ha cambiato pesantemente e in maniera velocissima le abitudini del pubblico, che si è abituato in maniera fluida alle nuove logiche digitali. Questa è la direzione, il digitale, sembra banale dirlo, ha sgretolato i confini tra i media. Perché oggi dire quello che è TV oppure video digitale o TV digitale è assai difficile. Per chi sta dall’altra parte, è indipendente. Dal punto di vista del pubblico è la stessa cosa, dal punto di vista tecnologico cambia moltissimo. E cambiano le possibilità che le aziende hanno di comunicare.

In conclusione e osservando il quadro d’insieme appena riportato, quali spunti possiamo cogliere per guardare con maggiore fiducia al domani?

Dal punto di vista della comunicazione credo che quello che abbiamo detto si possa riassumere nel fatto che la tecnologia, dopo la pandemia, ha realmente cambiato il paradigma. Possiamo guardare con fiducia il futuro e questo viene sicuramente concesso dalle opportunità che la tecnologia fornisce sia ai comunicatori, sia al pubblico. Credo che questo elemento sarà sempre di più il punto di riferimento e lo spunto per guardare con maggiore ottimismo al domani. Sia a chi utilizza i servizi, sia a chi deve comunicare. Di fatto, è la tecnologia che semplifica e aiuta il dialogo, oltre all’avvicinarsi tra chi deve comunicare e chi deve fruire dei contenuti.