Per la serie BlastingTalks intervistiamo Maurizio Ghidelli, amministratore delegato di Kasanova. L’azienda raccoglie oltre 500 negozi, tra diretti e affiliati, rappresentando il primo player italiano nella vendita di casalinghi e articoli per la casa. La società conta nel complesso oltre 1.700 dipendenti, con un’età media di 33 anni e una netta prevalenza delle quote rosa. Il quartiere generale si trova in Viale Monterosa ad Arcore, dove nei diversi uffici lavorano più di 170 persone.

Blasting Talks è una serie di interviste esclusive con business e opinion leader nazionali e internazionali per capire come la pandemia di coronavirus abbia accelerato il processo di digitalizzazione e come le aziende stiano rispondendo a questi cambiamenti epocali.

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Kasanova ha una storia lunga 50 anni: può raccontarci brevemente com’è nata l’azienda e come si è sviluppata fino alla sua forma attuale?

L’azienda è nata nel 1968 come grossista. Poi al mio arrivo nel 1994 ho impiantato su questa base il franchising di Kasanova. Abbiamo iniziato con un’idea nuova e che non esisteva ai tempi, perché c’era solo Benetton che faceva franchising sulla maglieria. Siamo partiti praticamente da zero e abbiamo creato quello che è oggi Kasanova.

Qual è la vostra mission e quali sono i valori che caratterizzano il vostro modo d'interpretare il commercio e la vendita di casalinghi?

Siamo partiti in modo distruptive, quindi spaccando il mercato in due.

Nel senso che a quei tempi c’erano i negozi impostati da architetti. Quindi varcare le soglie di quei negozi voleva dire già avere un impegno di acquisto. C’erano questi templi del casalingo con tutte le marche carissime. Noi abbiamo aperto nei centri commerciali e li abbiamo cavalcati con dei negozi senza porte: siccome le persone facevano fatica a varcare la soglia e si sentivano impegnate, ho pensato di non metterle.

Abbiamo realizzato un arredamento open. È stata la prima scelta rivoluzionaria, ma non solo. Con prezzi molto competitivi abbiamo rivoluzionato il mercato arrivando anche a posizionarci a prezzi abbassati del 40% rispetto agli altri. I concorrenti di allora ci hanno sottovalutato. Poi abbiamo intrapreso la strada della private label e siamo diventati produttori.

Oggi riusciamo ad avere il vantaggio del responso di chi sta in trincea, perché con oltre 500 negozi sono in grado di capire esattamente cosa vuole la gente.

Complessivamente la società conta più di 1700 dipendenti, con un’età media di 33 anni e una prevalenza delle quote rosa: come avviene la selezione e la gestione del personale?

Le quote rosa sono un dato di fatto, sono imperanti in questa azienda e ben volentieri. Anche perché l’attitudine a presidiare un negozio al momento è un po’ più femminile. Ma nonostante questo, ci sono anche molti giovani. Avevamo un problema di credibilità risolto con la formazione, perché per farsi dare consigli su come utilizzare i prodotti da cucina da una 25enne bisogna essere credibili.

In senso generale, tra i 1700 dipendenti ci sono dentro tantissimi ragazzi, che sono bravissimi. Non è detto che i dipendenti debbano essere solo donne, ma la prevalenza è quella.

Veniamo alla pandemia: qual è stato l’impatto del coronavirus sul vostro modello operativo?

È stato devastante dal punto di vista operativo, ma lo è ancora oggi con aumenti di materie prime e arrivi posticipati. È stato praticamente rovinato il sistema del just in time, per arrivare a un nuovo meccanismo di stock di magazzino. Oggi per importare merce non bastano più 60 giorni, ci vogliono 6 mesi. Le fabbriche sono piene di ordinativi, data la necessità di recuperare tutto quello che è successo in un anno di pandemia.

Per avere la merce devi overstoccare. E nessuno può rifornire sul pronto merce, perché le quantità sono troppo elevate. Questo è quindi un sistema cambiato in modo pazzesco dal punto di vista finanziario ed economico.

E rispetto al vostro mercato di riferimento, quali cambiamenti avete riscontrato?

Per quanto riguarda il mercato in generale, c’è stata (e c’è ancora) un’altalena dovuta ai movimenti che abbiamo vissuto. Il lockdown è stato il prodromo dell’apertura successiva, che ha scatenato gli impulsi irrefrenabili della gente a comprare. Quest’anno è accaduto il contrario. Si è registrato l’impulso della gente verso il tornare a vivere durante l’estate, passando tantissimo tempo all’esterno.

Con un calo di fatturato nei negozi, da questo peculiare punto di vista. Quindi sono altalene che ancora oggi stiamo vivendo. Ma sono anche movimenti che si ripercuotono sulle abitudini di acquisto. È un periodo di guerra senza cannoni, perché ti alzi la mattina e non sai cosa ti aspetta.

L’ultimo anno e mezzo ha visto concretizzarsi anche una forte crescita dell’e-commerce: quale modello avete adottato in tal senso e in che modo pensate sia possibile integrare il canale fisico e quello virtuale nel lungo termine?

Fortunatamente Kasanova ha tutti i presupposti per poter attuare un modello ibrido e per lanciarsi con fiducia verso l’e-commerce. Perché abbiamo negozi e ne avremo sempre di più, sul modello degli store di prossimità.

Li andiamo a posizionare dove la gente fa smart working e diventano dei punti utili per il pick up. Da questo punto di vista abbiamo una strategia molto chiara. E siamo anche particolarmente attenti e felici dei risvolti legati all’ecosostenibilità. Un plus che si realizza accelerando l’acquisto in negozio attraverso il just now. Vuol dire che se compro sul web posso verificare se lo store vicino casa mia possiede il prodotto per ottenerlo entro due ore. Tutto questo senza muovere un camion. È un seme che stiamo coltivando anche per puntare a un maggiore rispetto dell’ambiente.

Guardando al futuro e dal vostro peculiare punto di osservazione, cosa possiamo apprendere dall’esperienza vissuta negli ultimi tempi e a quali risorse possiamo fare ricorso per guardare con maggiore fiducia al domani?

La cosa che sento maggiormente rispetto all’esperienza che sto ancora vivendo è la consapevolezza del valore insito nella flessibilità e resilienza. Per fortuna Kasanova è sempre stata una catena elastica al cambiamento. Abbiamo cambiato pelle quattro volte nella nostra vita, ma con questa affermazione mi riferisco a cambiamenti importanti. Ne cito uno di esempio. La lista nozze ci è morta tra le mani perché le ragazze hanno preferito fare viaggi e lì abbiamo dovuto cambiare pelle. Questa elasticità ci ha permesso di modificare tantissimo anche oggi l’offerta commerciale e di adeguarci al nuovo periodo. Con una velocità e flessibilità che per una catena così grossa è stata miracolosa. Sono prove che il mercato ti pone e davanti alle quali hai solo due scelte: le superi o soccombi.

Avendo la responsabilità di questa catena non posso pensare che le tempeste non siano superabili. Per il domani abbiamo in serbo la carta dell’omnichannel strategy, un’opzione che deve ancora dare i suoi frutti... ma li darà. Ne sono convintissimo.